L’altra cosa (Chi ha ucciso Layla al-Hayk?)
Un magistrale Ghassan Kanafani
presentato in traduzione italiana per la prima volta in assoluto
da Cicorivolta edizioni nella traduzione di Federica Pistono
di Iannozzi Giuseppe
Cicorivolta edizioni
in copertina, “Sketch”, illustrazione originale di Yuri Gamberoni
E’ fuor di dubbio che Ghassan Kanafani è stato tra gli intellettuali più importanti che in gruppo, dall’esilio (Ghurba), hanno maggiormente lavorato a favore della causa palestinese.
L’altra cosa (Chi ha ucciso Layla al-Hayk?), nella traduzione dall’arabo di Federica Pistono, pur trattandosi (apparentemente) d’un semplice giallo con non poche infiltrazioni nel mistery, non è solo questo. L’altra cosa (Chi ha ucciso Layla al-Hayk?) fu pubblicato sulla rivista settimanale al-Hawâdith a Beirut, in nove puntate, a partire dal giugno del 1966. Cicorivolta edizioni lo presenta oggi al pubblico italiano per la prima volta in assoluto.
Salih è il protagonista principale de L’altra cosa (Chi ha ucciso Layla al-Hayk?). E’ un uomo brillante, un avvocato di tutto rispetto abituato a vincere in tribunale: la sua fama è riconosciuta in tutto il paese e non c’è nessuno che non gli tributi giustificate genuflessioni. Salih è quel tipo di avvocato che non ama perdere una causa; dotato d’una grande intelligenza riesce sempre a ottenere quello che è il meglio per il suo cliente. Ha una moglie che lo ama visceralmente e dei figli. La sua vita è perfetta, niente lo turba. Un giorno però Layla entra nella sua vita; è lei una ex compagna di scuola della moglie. Semplicemente accade che Dima, la moglie di Salih, torni in contatto con Layla, sposata anche lei ad un uomo di grande temperamento, Sa’id al-Hayk. L’autore, Ghassan Kanafani, ci dice poco o nulla del paese dove tutto accadrà: sappiamo soltanto che si tratta d’un paese mediorientale coinvolto nei non pochi tragici anni Settanta.
La relazione che ha visto complici Layla e l’avvocato Salih non è il punto focale: “Questa donna mi svelò un pozzo di desiderio dalle profondità insondabili e trovò, con il sottoscritto, l’occasione che non le si era mai presentata per diventare un’altra donna, in grado di realizzare, a letto con me, quanto non aveva mai potuto sperimentare in nessun momento con nessun uomo. Si prese una rivincita con se stessa riguardo a tutta quella realtà che iniziò a considerare come la responsabile principale delle crisi di stanchezza [...] e io divenni la sua unica fonte di ispirazione interna, mai esterna, e celebrò con me, nei pochi momenti estranei alla logica della sua vita, la rinascita della sua femminilità sotto gli occhi dell’uomo che, ignoro in quale modo, tentava di distruggere tale femminilità…”. Se una colpa ha Salih è dunque quella di aver restituito a Layla la sua femminilità. Tra lui e la moglie di Sa’id non c’è stato dunque amore, ma solo un atto sessuale teso a far rifiorire la femminilità di Layla, un atto che è anche servito a far comprendere a Salih che nessun’altra donna avrebbe mai potuto prendere il posto di Dima, della sua amatissima moglie. L’avvocato Salih, dopo esser stato a letto con Layla, ama ancor di più la sua donna, la madre dei suoi figli: avere un rapporto sessuale con Layla è servito a questo e non ad altro. Ma come spiegare tutto questo alla corte che deciderà della sua sorte? Non è possibile spiegare questa ‘cosa’ né è auspicabile: dichiarare d’esser stato a letto con la moglie di Sa’id servirebbe solamente a infangare Dima e la memoria di Layla, e non servirebbe in nessun caso a scagionarlo dall’accusa di omicidio. Il Caso ha messo su una macchina perfetta per inchiodare lui, il grande avvocato delle cause impossibili costringendolo all’angolo: non ci sono vie d’uscita, può solo tener vivo un ostinato silenzio di fronte al giudice che gli pone le sue arroganti domande.
L’altra cosa (Chi ha ucciso Layla al-Hayk?) di Ghassan Kanafani è un magistrale romanzo ambientato in una zona non ben definita, anche se è possibile immaginare che ci si trovi a Beirut. Un romanzo o un mistery dove il pessimismo finisce con l’ingoiare ogni speranza. Ma siamo sicuri si tratti solamente d’una storia, del Caso, di quella ‘altra cosa’ che condanna un uomo innocente? L’altra cosa può essere letto come un semplice romanzo, come un mistery; o con più attenzione come una efficace metafora della non poco intricata condizione palestinese, che è per molti versi sottomessa ai capricci esiziali del Caso. Kanafani, dopo aver collaborato con il non poco prestigioso al-Muhharir e in seguito con l’organo di stampa al-Anwar, decide di fondare l’organo del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, L’Obiettivo (al-Hadaf), di chiaro stampo marxista. Ghassan Kanafani desiderava per il mondo arabo una società giusta per ogni individuo; e confidava soprattutto nelle nuove generazioni. Il suo sogno non si è ancor oggi realizzato purtroppo. Kanafani morì assassinato l’8 luglio del 1972 insieme alla nipote appena sedicenne Lamis: la sua macchina fu imbottita di esplosivo e non appena la mise in moto saltò in aria. Ecco dunque che L’altra cosa non è più soltanto una semplice storia sul Caso che con la sua cecità mortale investe una persona innocente, è anche metafora sulla Palestina, su i contrasti interni e su quelli esterni con Israele: perché vivere a Beirut, per i più, significa essere sotto il giogo del Caso, una ‘cosa’ non spiegabile con la forza della ragione né con l’invito a costruire tutti insieme una società più giusta e vivibile.
Dalla nota introduttiva di Federica Pistono
L’8 luglio del 1972, con un ordigno esplosivo, veniva assassinato, a Beirut, lo scrittore e intellettuale palestinese Ghassan Kanafani. Accompagnato dalla nipote sedicenne Lamis, in quel giorno di caldo umido e particolarmente insostenibile, salì sull’auto parcheggiata proprio davanti a casa. Girò la chiave, e non appena mise in moto saltarono in aria.
L’opinione più diffusa nel mondo arabo dice che si trattò di una vendetta del Mossad contro un attentato terroristico in Israele, attribuito al “Fronte Popolare di Liberazione della Palestina” di cui Ghassan Kanafani era portavoce.
Nato nel 1936 ad Acri (in arabo: ‘Akka), citta’ costiera della regione palestinese, da una famiglia della borghesia araba, (il padre era uno stimato avvocato), nel 1948, in seguito alla costituzione dello stato d’Israele, Kanafani subì le stesse vicissitudini di migliaia di connazionali: l’espulsione e l’esilio. Dapprima si rifugiò con la famiglia nel Libano del sud, dunque in Siria, dove nel 1955, pur coltivando incessantemente gli studi di letteratura e la passione per la pittura e il disegno, lavorò come insegnante nella scuola elementare di un campo profughi dell’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency), l’ente dell’ONU per l’assistenza ai rifugiati palestinesi. Fu in questo periodo che seguendo i corsi all’Università di Damasco entrò in contatto con George Habash, leader del Movimento Nazionalista Arabo, fautore degli ideali socialisti e successivamente fondatore del Movimento Popolare di Liberazione palestinese.
Nel ’56, il ventenne Ghassan Kanafani si trasferì nel Kuwait per insegnare disegno. Nel 1960, già noto per il suo impegno di artista e intellettuale, convinto dallo stesso George Habash, rientrò a Beirut, dove cominciò una brillante carriera giornalistica e politica che culminò, nel 1969, con la direzione di al-Hadaf (L’Obiettivo), l’organo ufficiale del FPLP che diresse fino all’ultimo dei suoi giorni.
Ghassan Kanafani fu autore di racconti e novelle ispirati all’esempio della “letteratura militante” di Jean Paul Sartre, scrisse articoli giornalistici, storie e romanzi che sfociarono in un gran numero di pubblicazioni politiche e letterarie. Il 1961, lo stesso anno in cui si unì in matrimonio con l’insegnante danese Anni, segnò la svolta della sua carriera letteraria: fu dato alle stampe il romanzo breve dal titolo “Uomini sotto il sole”, intensa, emozionante e sempre attuale storia di tre confinati clandestini che, rifugiatisi dentro un’autocisterna con la speranza di emigrare in Kuwait, verso la prosperità, vi moriranno asfissiati durante una sosta in mezzo al deserto. Tre sventurati che, allettati da un sogno di agiatezza, in realtà inseguono un improbabile riscatto dalla perdita della patria e con essa dalle opportunità mancate, pagando con il prezzo stesso della vita l’inseguimento di una speranza impraticabile.
Ben presto si rivelò il più celebrato romanzo nella letteratura araba contemporanea, e fece di Ghassan Kanafani, ancora molto giovane, il modello intellettuale di tutta una generazione. Il regista egiziano Tawfiq Saleh realizzò dal libro un famoso film dal titolo “Gli ingannati”.
Kanafani entrò a pieno diritto fra i cosiddetti scrittori “della resistenza”, ossia quel gruppo di intellettuali palestinesi che votarono la loro trascinante ispirazione di testimonianza creativa al servizio della patria occupata. Ogni angolo del suo stile asciutto, profondo e delicato, trae ispirazione dalla tragedia personale e insieme da quella del suo popolo, con l’assoluta e oggettiva capacità di trascendere dal particolare, per rappresentare l’universalità di stati e condizioni, che in diverse epoche storiche, senza soluzione di continuità, uomini e donne, si sono trovati a subire e a fronteggiare: l’espatrio, la guerra, il sopruso, l’oppressione.
Così Kanafani è considerato dalla critica araba e dagli specialisti occidentali uno dei massimi scrittori arabi contemporanei e molte delle sue opere sono state tradotte in tutto il mondo.
Tra i suoi scritti più significativi tradotti e pubblicati in italiano citiamo:
Ritorno a Haifa – La madre di Saad, edito da Ripostes e da Edizioni Lavoro, trad. Isabella Camera d’Afflitto;
La morte nel letto numero 12 in Palestina, la terra più amata – Voci della letteratura palestinese, ed. Il Manifesto, a cura di P. Blasone e T. Di Francesco
Uomini sotto il sole, edito da Ripostes e da Sellerio, trad. I. Camera d’Afflitto
Se tu fossi un cavallo e altri racconti, Jouvence, trad. A. Lano, presentazione di I. Camera d’Afflitto;
La terra delle arance tristi e Solo dieci metri in Narratori arabi del ’900, Bompiani, trad. I. Camera d’Afflitto
La porta in Palestina Dimensione Teatro, Ripostes, trad. C. F. Barresi
Inoltre, nella vasta produzione letteraria di Kanafani ricordiamo le tre opere teatrali: La porta (1964), Il Cappello e il Profeta (13/aprile/ 1967), e, infine, Ponte per l’eternità
Federica Pistono, è laureata in Lingua e Letteratura araba presso l’Università degli Studi L’Orientale di Napoli, ha conseguito un diploma di master in Traduzione letteraria ed editoriale dall’Arabo presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Vicenza.
Ha inoltre conseguito il Diploma in Lingua araba presso l’Istituto di Lingua Araba dell’Università Statale di Damasco nonché il Diploma in Lingua araba presso lo Yemen Language Center di Sana’a.
L’altra cosa (Chi ha ucciso Layla al-Hayk?) – Ghassan Kanafani (traduzione dall’arabo di Federica Pistono*) – Cicorivolta edizioni – collana i quaderni di Cico – ISBN 978-88-97424-34-5 – © 2011 – pagine 151 – prezzo 12 €
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