“L'altra parte” Kubin lo scrisse di getto in appena dodici settimane, mentre altre otto settimane gli servirono per corredarlo con una cinquantina di disegni che ancora oggi, fortunatamente, fanno parte dell'edizione reperibile in commercio.È un romanzo, questo, che viene interpretato ora in chiave strettamente psicanalitica, ora come un viaggio nell'inconscio costellato di visioni cosmiche, metafisiche, ora come la metafora di un percorso iniziatico o di un'esperienza sovrannaturale - ad ogni modo, un viaggio che è destinato a cambiare completamente colui che lo ha compiuto.“L'altra parte” fu per Kubin, indiscutibilmente, una sorta di terapia d'urto. Orfano di madre a dieci anni, con un padre duro e anaffettivo, egli cominciò a soffrire di nervi già in giovane età. Allontanato da casa alla volta del collegio, e poi alla scuola di arti e mestieri, affrontò la terribile esperienza della depressione che lo portò, nemmeno ventenne, a tentare il suicidio sulla tomba della madre. In seguito furono le preoccupazioni legate al futuro e alla professione e la perdita di altre persone care a continuare a minare la sua salute mentale, portandolo da una crisi mistica a diverse fasi di depressione alternate a febbrile eccitamento, in un altalenarsi di sentimenti contrastanti che fu una costante praticamente per tutta la sua esistenza.Di Kubin nel libro c'è quel male di vivere che caratterizza un po' tutti i suoi personaggi: tetri, nostalgici, depressi e in balia degli eventi ma spesso anche ambigui, crudeli, in certo modo amorali. Ad esempio nel narratore – un artista ipersensibile, da sempre soggetto a grandi sbalzi d'umore - c'è molto dell'autore. Difatti, di questo personaggio non sappiamo neppure il nome: l'autore non lo dice, forse proprio per sottolinearne le analogie con se stesso.Ma se “L'altra parte” è la storia di un uomo, o meglio del suo inconscio, è anche e soprattutto quella di un luogo: la città di Perla, la capitale artificiale del Regno del sogno, un regno separato dal mondo circostante da un (profetico) muro di cinta (vi ricorda niente?) creato da un ricco eccentrico come rifugio per gli insoddisfatti della civiltà moderna. La genesi di Perla deve molto all'atmosfera di Praga (Kubin era boemo), città dall'anima divisa in due: cristiana ed ebrea, scientifica e superstiziosa, moderna e decadente.
Il nostro artista si fa allettare dalla prospettiva di futura ricchezza e felicità e ben presto intraprende con la moglie l'estenuante viaggio verso la sua nuova casa, oltre il confine orientale della Russia. All'ingresso delle mura del Regno però lo assale una sensazione orribile, del tutto ignota. “Non uscirò mai più di qui”, si dice, e questo pensiero per lui ha il terribile sentore di una profezia. Ciononostante, inizialmente prevale in lui un certo ottimismo, ma col passare del tempo il luogo di fiaba tanto agognato perde gradualmente ogni attrattiva.Perla, come tutto il Regno del sogno, è perennemente avvolta da un'atmosfera crepuscolare e pervasa da odori strani, sgradevoli. Accanto ai quartieri borghesi ci sono zone malfamate e sporche, sordide, rifugio di isterici, nevrastenici e criminali, mentre il Regno è colmo di luoghi solitari, nei boschi e vicino alle paludi, a cui nessun viandante osa avvicinarsi verso il tramonto. Con il tempo i misteri di Perla provocano visioni e suggestioni sempre più intense, la città finisce per divenire una prigione che trattiene i suoi abitanti con una forzata apatia, una noiosa monotonia che è allo stesso tempo continua incertezza che logora l'anima.Ma quel che è peggio, l'esistenza sembra trascinarsi su binari precostituiti: una sorta di forza onniveggente, di orwelliana memoria, riequilibra le cose ogni volta che si verifica un cambiamento, dando la sensazione di non essere mai veramente padroni del proprio destino. L'artificiosità del Regno comincia a diventare intollerabile. Claus Patera è una presenza invisibile ma allo stesso onnipresente, un dio imperscrutabile che dalle profondità del suo palazzo avviluppa uomini e cose in una sorta di sortilegio, un potere occulto dallo scopo oscuro.
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