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Questo finale è stato da molti interpretato sia come l'espressione della dualità della natura delle cose, sia come un'allegoria del potere che il Nuovo Mondo, l'America, nel tempo ha accresciuto a discapito della Vecchia Europa, troppo rivolta a se stessa e al suo glorioso passato.Le forze di attrazione e di repulsione, i poli della terra con le loro correnti, l'alternarsi delle stagioni, il giorno e la notte, il bianco e il nero, non sono che l'espressione di una lotta.Il vero inferno consiste nel fatto che questo doppio gioco contraddittorio si prolunga in noi. L'amore stesso ha il suo centro di gravità “inter feces et urinas”. I momenti più alti possono soggiacere al ridicolo, allo scherno, all'ironia. Il Demiurgo è un ibrido.
Un finale ambiguo che sembra non voler offrire risposte univoche né soluzioni. Eppure Kubin, che conosceva sia Nietzsche che Freud, del suo romanzo sembra aver fatto un manifesto della psicanalisi, che proprio in quel periodo muoveva i suoi primi passi. In tal senso che cos'è dunque l'altra parte, se non quella metà oscura della nostra personalità che si trova da qualche parte, nei recessi della nostra mente, e talvolta prende il sopravvento? L'essenza della vita è un'eterna lotta tra le varie sfumature della nostra personalità, una lotta che non ha altro scopo, o significato, se non quello della sua mera esistenza. Per metabolizzare quest'esperienza dobbiamo pensare ad essa come alla contrapposizione tra veglia e sogno, o tra realtà e finzione, cercare di venire a patti con i nostri demoni interiori e, se possibile, convertirli in altro. Il Demiurgo è l'artigiano divino, colui che plasma la materia informe, ergo colui che dà forma ai sogni, che altro non sono che i luoghi ideali dove tutti vorremmo vivere.
Ma accanto a quest'interpretazione più “canonica”, c'è anche chi ne propone una esoterica, partendo dal linguaggio allucinato e visionario che, indubbiamente, nel romanzo fa la parte del leone. Il protagonista procede nella narrazione per metafore, e la sua epopea non è dissimile da quella dell'eroe che deve affrontare delle prove, o del discepolo che deve affrontare un percorso iniziatico – durante il quale soffrire, disilludersi, cadere, rischiare la sanità mentale e la vita - per potersi poi risollevare, trasformarsi, ovvero, virtualmente, rinascere. Secondo questa chiave di lettura, l'altra parte sarebbe un diverso stadio di percezione della realtà, oltre la “porta della percezione” preconizzata da Aldous Huxley.Oppure, è possibile anche vedere il romanzo come il racconto di un'esperienza sovrannaturale, di una sorta di visione spontanea o (auto)indotta che (come accade nella meditazione) può far perdere la nozione di se stessi, mentre il proprio io sembra fondersi nella vastità olografica dell'universo. Tutto è uno.
Probabilmente, tutte queste interpretazioni sono a loro modo corrette. La strada verso l'illuminazione, qualunque cosa si intenda con questo, non è un viaggio riposante da osservare seduti dal finestrino di un treno, somiglia piuttosto all'attraversare a piedi una foresta selvaggia; è qualcosa di così estraneo e allo stesso tempo così eccitante che finisce inevitabilmente per cambiare il nostro modo di vedere le cose. Così come, dopo aver respirato l'aria pura della montagna, l'aria della città appare più che mai soffocante, così le visioni che si sperimentano fanno sembrare la realtà di tutti i giorni banale e insignificante.Infine, come non citare un'interpretazione “politica” del romanzo, che avrebbe profetizzato la caduta dell'impero asburgico, con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale e lo sgretolarsi della civiltà europea? Kubin visse abbastanza a lungo per assistere ad entrambe le guerre mondiali e rendersene conto da sé. Interessante notare, a questo proposito, che il Regno del sogno è un paese senza bambini e proprio per questo non può avere un futuro. Un paese destinato a ripiegarsi su se stesso come la cera di una candela e, come quest’ultima, destinato a spegnersi silenziosamente, lontano dagli occhi di qualsivoglia testimone. Estinzione! Ecco la parola che avevo sulla punta della lingua! Estinzione: cosa altro può attendere un mondo come il Regno del sogno? Il fatto che la maggior parte degli abitanti di Perla sia di lingua tedesca potrebbe fin troppo facilmente farmi osare un accostamento con la follia del Nazismo. Un popolo che ritiene di potersi elevare dalla massa, dimenticando (o in quel caso sterminando) tutto il resto, è inevitabilmente destinato alla sconfitta e, nel lungo termine, all’oblio. Per noi esseri umani, in generale, l’estinzione può essere solo un sinonimo di suicidio. L’estinzione può derivare solo dalla nostra arroganza, dalle nostre scelte sbagliate. Siamo in cima alla catena alimentare, non abbiamo predatori, quindi non esiste una sola possibilità che la fine del genere umano possa avvenire per cause che esso stesso non abbia scatenato (a meno che non si presentino alla nostra porta degli alieni cattivi, il che è tutto sommato abbastanza improbabile). L’estinzione può derivare quindi solo da noi. Sarà un’esplosione nucleare? Sarà una pandemia? Sarà l’esaurirsi delle risorse alimentari del pianeta? Sarà la sovrappopolazione? Saranno i cambiamenti climatici? Comunque vada potremo puntare il dito solo su nei stessi. A Perla i bambini non erano ammessi. E nella nostra società (italiana, per esteso europea, tipicamente occidentale od occidentalizzata, soprattutto se borghese e benestante, ed è questo l’apparente paradosso) non stiamo andando in quella stessa direzione? La vita media si allunga: ancora un altro secolo e saremo un pianeta di ultrasettantenni non più in grado di generare. E quei pochi che ne saranno in grado probabilmente non potranno permetterselo. Non ci sarà più tempo e non ci sarà più denaro. E se vogliamo ben guardare, tempo e denaro, per molti di noi, sono finiti già oggi. Alfred Kubin fu forse in grado di guardare così lontano? Non lo sappiamo con certezza, ma quello che è certo è che l'esempio di Perla potrebbe insegnarci davvero molte cose.
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