Ogni libro è legato a un ricordo, al momento in cui è stato aperto per la prima volta. L'Amante mi è stato regalato con la promessa che lo avrei studiato così come si fa in preparazione agli esami universitari. Non credo di esser mai riuscita a superare quest'esame. Perché leggere un romanzo come questo è partecipare a quello che è stata la vita di Marguerite Duras in un luogo e in un periodo, l'Indocina degli anni Trenta, di grande mutamento sociale oltre che privato. Se rimembrare la sua storia è frutto della volontà del figlio Outa, il quale chiede alla madre di parlargli dell'album fotografico, è proprio la storia nel suo divenire che si presenta come la vera protagonista. Disvelamento del desiderio, dell'amore tra una ragazzina di quindici anni e un miliardario cinese.
E accanto alla storia c'è il lirismo narrativo che si contraddistingue per l'alternanza di violenza e dolcezza, forza e mistero, nostalgia e razionalità. Una donna che rievoca la ragazza che è stata un tempo, una donna che si guarda allo specchio e giudica ciò che ha fatto e ciò che è stata, una donna che si confonde con la ragazzina dell'epoca, che rivive quel desiderio, lo cattura e gli dà un nome mettendolo nero su bianco. L'Amante è un romanzo impegnativo, difficile da definire, le parole restano nella mente anche ore dopo averlo chiuso. E si avverte qualcosa di irrisolto con il romanzo stesso, come se la condizione vissuta dalla Duras investa la nostra stessa vita.