L’amarezza di Piero Ciampi e della Platan
Cosa: birra pils
Nome: Platan
Gradazione: 4,8°
Dove: D+
Origine: Rep. Ceca (prodotta, per la precisione, nella piccola cittadina di Protivín, nella Boemia meridionale)
Il ritornello de “Il denaro”, una delle ultime “canzoni” incise da Piero Ciampi, recitava: «il denaro è un porco, e chi lo tiene stretto è un disgraziato!». Per dovere di pignoleria, esclusa la citazione, questo mio incipit contiene alcune inesattezze. Affermare che “Il denaro” fosse una canzone è un’esagerazione: diciamo che era un provino. Anche parlare di incisione, poi, è sovradimensionante. Piuttosto possiamo definirla una prova. Un registratorino da pochi soldi. Fruscii continui. Una voce ruvida e spigolosa. Echi di fastidi sonori in sottofondo. Nemmeno il testo era completo. Accenni ai diversi colori del denaro. Immaginifici accostamenti a improperi da indirizzare ai suoi possessori. Poeticità abbacinante di un uomo che, dopotutto, era tanto meravigliosamente incompiuto quanto la sua ultima “canzone”. Di cui, appunto, ci resta un ritornello torcibudella. Due assiomi di una saggezza violenta: «il denaro è un porco, e chi lo tiene stretto è un disgraziato».
Vita agra quella del livornese Piero Ciampi. Anarchico bestemmiatore, bohemienne squattrinato, poeta decadente, bevitore incallito, rissaiolo ironico, romantico fumantino e chi più ne ha più ne metta. Inutile, quindi, cercare di tracciare una sua biografia. Per i pigri una pagina di wikipedia sarà più che sufficiente (per non capire nulla). Agli altri resta fermo l’invito ad ascoltare un paio delle sue canzoni. Dentro di esse, infatti, c’è tutta l’anima di Piero. Perché di Piero si potevano dire molte cose, ma di certo non che nelle sue canzoni non ci mettesse tutto se stesso. Che non si squarciasse il ventre per far uscire su quelle poche parole che aveva deciso di mettere in musica, tutto il suo spirito. Tutta la sua anima. Piero Ciampi piaceva a pochi. In vita. Da morto è piaciuto a un sacco di persone. Le stesse persone che, se lo avessero conosciuto a sangue caldo, si sarebbero pigliate un bel vaffanculo e un paio di sonore bestemmie di disapprovazione (intendiamoci, tra queste persone mi ci metto anch’io, indegno recensore birrignorantesco). Credo sia la sorte degli irregolari. Se è vero che il diavolo non viene mai a noi con sembianze luciferine, bensì sotto forma di tutto ciò che abbiamo sempre voluto, la banalità e lo svilimento sopraggiunge sotto forma dell’approvazione pressoché globalizzata. Quella che, in gergo social-mediatico, potremmo chiamare “successo”.
Il denaro è un porco, insomma, e tanto vale non tenerlo stretto a lungo. Salvo poi passare per disgraziati. Il messaggio è tanto semplice quanto inattaccabile. Piero, infatti, il denaro lo odiava e non lo stringeva. Gli passava di mano in mano per poi dissolversi in alcolici o sperperi vari. Fatico ad accostare gli scialacqui di una vita a una scelta così anarchica e radicale. Non si trattava di vivere con poco, raffazzonando cibo, ospitalità, vino, birra e via discorrendo. Si trattava di nutrire un sano disprezzo per la dittatura del denaro. Si fosse trovato faccia a faccia con quel porco, Piero lo avrebbe schifato. E ci avrebbe sputato su. Perché, dopotutto, il denaro è il riflesso di chi lo possiede. Scialacquarlo non vuol dire scialacquare una vita, bensì la sua componente più materialistica. Ci vuole un talento infinito per sprecare un’intera esistenza. Non è una cosa da poco: chi ce l’ha fatta ha i suoi personali Campi Elisi. Le battaglie più ardue non sono quelle di massa, ma gli assedi. E la continua presenza del ricordo fa parte di questi ultimi.
Una delle cose che maggiormente mi colpiscono quando mi trovo a parlare di birre ignoranti, è l’interesse sostanziale che l’interlocutore mostra per la materia. Si tratta di un interesse profondo. Una curiosità che non si limita alla semplice accettazione dell’alcolico in sé, bensì che cerca di andare più in profondità. Di indagarne le peculiarità. Le differenze. Le tipologie. Il tutto con una sete di alcol e conoscenza inversamente proporzionale allo snobismo che incontro quando (distrattamente) mi trovo a dover parlare con un interlocutore ferratissimo in materia di birre artigianali, trappiste, IPA e via discorrendo. Al tentativo di supremazia quasi machista (“il mio luppolo è più grosso del tuo!”) di questi ultimi si contrappone la convivialità anarchica dei primi. La voglia di condividere un’esperienza birrignorantesca con il sorriso sulle labbra. Il baffo impastato di schiuma da pochi soldi. Il declinare divertito di prezzi infinitesimali ed etichette kitsch di pessimo gusto. Insomma, una birra ignorante apre una porta su un mondo di dialogo e condivisione. Uno spazio sempre più raro in questo nostro mondo agro e solitario. Dove la ricerca di un contatto umano passa attraverso una pletora di mezzi di comunicazione e socializzazione il cui risultato più tangibile è quello di creare attorno all’individuo una cappa di protezione non tanto dalla realtà, quanto più dal realismo. Si finisce con l’essere così invischiati in nuvole di dati dal non comprendere che i piedi devono essere fortemente appiccicati a terra. Quanto meno per sapere in quale direzione barcollare.
In questo senso l’esistenza di Piero Ciampi è stata una vera e propria negazione di ciò che i social-network avrebbero fatto (involontariamente -?-) nei decenni a venire. Lui allontanava scientemente la gente che non gli aggradava. Insultava senza ritegno coloro i quali non capivano la sua arte. Si azzuffava con chi cercava di rispondergli. E sì, faceva anche soffrire le persone che, con sacrificio, decidevano di stargli accanto. Un pessimo esempio, direte voi. Non credo. La consapevolezza redime ogni cosa. Le strofe di Piero ne trasudano molta di più di quanto potrebbe fare una qualsiasi delle centinaia di canzoni che quotidianamente ci propongono i gruppi indie-cloni che popolano l’universo italico. Perché solo l’amare, solo il conoscere conta. Tutto il resto è paccottiglia di seconda mano. Inaffidabile, quindi. Proprio come la solitudine involontaria. La solitudine del buon Piero era pura e consapevole. Quella data dai social-network è falsa e agghindata in maniera agghiacciante. Con una patina di condivisione tanto fasulla quanto asfittica. All’amarezza non c’è limite, avrebbe detto Piero Ciampi, soprattutto quando ci viene spacciata per vino dolce. Ubriacarsene è sempre stato troppo facile. Anche perché non vi è mai stato bisogno di dimenticare. Il trucco è stato imbastito così bene che non comporta nemmeno il fastidioso cerchio alla testa del giorno successivo.
Cristo santo, Andreij, quanto sei negativo! direte voi. Perché tutto questo “astio”? Perché tutta questa cupio dissolvi etilica? Non scrivi uno straccio di recensione da mesi e te ne esci fuori con quest’accozzaglia di bile mischiata a un malessere esistenziale da poco? Già, forse la realtà è proprio questa. Eppure non riesco a fare a meno di togliermi dalla testa la parola “amarezza”. Lo stesso sapore agro che ha contraddistinto la mia bocca in queste ultime settimane. Perché sì, perché a voi posso confessarlo: ho speso una parte di quel porco del mio denaro (perché non si dica che, a stringerlo, io sia un disgraziato!) per acquistare un paio di casse di una birra che mai in vita mia avevo visto in uno dei miei discount di fiducia. E, lo ammetto, ne sono stato lieto. Estremamente lieto. Il fatto è che, amici cari, nell’assortimento del D+ è entrata una nuova birra ignorante dall’accattivante nome di “Platan”. Si tratta di una birra ceca e dato che, a memoria, non avevo mai trovato una birra ignorante ceca, mi ci sono buttato a pesce! Non poteva quindi bastare una bottiglietta del piffero per recensirla: ce ne volevano un paio di casse. Almeno. E così ho fatto, mi sono accaparrato un bel paio di cartoni di Platan (cartoni da 24 bottiglie in vetro per 500 ml, al costo di 99 cent la bottiglia) e, come fossi un asceta, mi sono ritirato in casa a bere, meditare e ascoltare l’intera discografia di Piero Ciampi. Potrei cercare di spiegarvi tutti i nessi para-logici che la mia mente ha creato per portare a compimento tutto ciò, ma dovrei parlarvi di Antonio Gramsci, di Luciano Bianciardi, di Piero Ciampi, di un mitico film con Gian Maria Volontè e, per vie traverse, anche di certe mie avventure sessuali (che non credo interesserebbero più di tanto l’attento pubblico di Discount Or Die). Ho passato, quindi, le ultime settimane a bere birra Platan e a riflettere su tutto questo coacervo di suggestioni e fantasie, alimentando le mie sinapsi di birra e vecchi dischi di Piero Ciampi. Scoprendo poi che, in ultima analisi, era proprio il sapore amaro ciò che accomunava entrambi.
La Platan, infatti, è un’ottima pils ceca (prodotta, per la precisione, nella piccola cittadina di Protivín, nella Boemia meridionale) dal grado alcolico di 4,8°. Il tipico retrogusto erbaceo gli viene conferito dall’utilizzo del famoso luppolo di Zatec. Leggenda narra che di tutti i luppoli prodotti a Zatec sia stato selezionato quello più amaro per dare vita a una birra ignorante da esportare nel sud dell’Europa. Tutto ciò non per dissuadere i bevitori ignoranti dall’apprezzare le bontà birraie boeme, bensì per dare ai suddetti la possibilità di verificare immediatamente la vita agra che sarebbe loro toccata se avessero mai deciso di abbandonare il sacro luppolo di Zatec. Perché sì, perché la consapevolezza nasce dalle privazioni, non dall’eccesso. E il confrontarsi immediatamente con l’assenza piuttosto che il godere della fallace presenza è ciò che fa sì che si possa diventare dei bevitori ignoranti sani e responsabili. Caratteristica indispensabile per accogliere le bevute ignoranti (e le conversazioni a esse correlate) con brio e apertura mentale. E poco importa se i 99 cent della Platan possano essere tacciati da qualche purista di assenza birrignorantesca. Perché si sarà sempre pronti, nella più malaugurata delle ipotesi, a emulare il caro vecchio Piero Ciampi. Urlando al bevitore hipsterello di turno che il denaro è un porco, salvo convenire poi col buon Lance di “Pulp Fiction”. Perché quando ti “spari” una bella Platan, gelata e amara, «sai dove sono andati a finire quei soldi in più!».
Soldi che se vi foste tenuti stretti, amici cari, avrebbero fatto di voi degli assoluti disgraziati.
Parola anarchica, bestemmiata e strascicata, del vecchio Piero.
Na zdraví a tutti voi, quindi, da Livorno a Protivín!