- UN MINIMO DI SINOSSI.
Nella Sicilia dei Borboni sta per entrare in vigore la prima costituzione liberale, i grandi feudatari stanno per perdere antichi privilegi, compreso il diritto di vita e di morte sulle popolazioni locali.
Il 1812 quindi si preannuncia come un anno di grandi trasformazioni.
Il principe di Castelnuovo, ministro del Re, è tra coloro che più si è battuto per la nuova costituzione e per contrastare le opposizioni dei conservatori decide di inviare Luca Corbara, un suo uomo di fiducia a svolgere indagini sui feudatari, controllare la legittimità dei terreni da loro posseduti e verificare la reale proprietà giuridica degli stessi.
Un'antica ballata convince Corbara a cominciare la sue ricerche partendo dal feudo di Carini. Secondo la Ballata nel 1563 l'omicidio della baronessa di Carini e del suo amante Domenico Vernagallo, spacciato come delitto d'onore sarebbe invece servito a suo marito e alla sua famiglia per impossessarsi dei terreni dell'amante senza averne alcun diritto.
Giunto in paese Corbara si trova però immerso in un clima di tensione. Carini è retta con il pugno di ferro da Don Mariano D'Agrò e la maggior parte degli abitanti guarda con sospetto il giovane straniero. Gli unici alleati che Luca riesce a farsi sono il bizzarro Don Ippolito- vecchio amico del principe di Castelnuovo- e Cristina la giovane figlia del notaio del paese.
La situazione degenera rapidamente tra omicidi misteriosi; l'intervento di una misteriosa setta di vendicatori mascherati, i Beati Paoli, e segreti taciuti da tanto, troppo tempo.
E poi c'è Laura, la giovane moglie di Don Mariano.
Bella e bionda come la baronessa uccisa nel 1563 Laura s'innamora riamata di Luca.
Possibile che la storia narrata nell'antica ballata sia destinata a ripetersi?
- ANATOMIA DI UN SUCCESSO.
Ma come si arrivò alla creazione di questa miniserie?
Nel 1975 la RAI-TV realizzò molte delle sue migliori produzioni di sempre.
Guai a chiamarle fiction, il termine ancora non era entrato nell'uso comune, però presto le cose erano destinate a cambiare entro breve tempo.
Sul territorio nazionale già operavano da tempo le prime reti locali come Telebiella e nel 1976 una sentenza della Corte Costituzionale riconoscerà il diritto a trasmettere vie etere anche ai privati anche se solo in via locale
Ma nel 1975 l'ente di Stato poteva ancora permettersi una relativa sicurezza dal suo regime di monopolio, sicurezza che si trasformava spesso in una capacità di sperimentare e proporre accanto alle tradizionali produzioni pedagogiche -di tanto in tanto- qualcosa di diverso dal solito.
Non ultimo per la presenza di un particolare.
Un particolare non secondario.
Il "lieto fine", l' "happy end" tanto caro ed onnipresente nelle fiction attuali non era per niente garantito.
Come avviene nella vita reale l'incognita era sempre dietro l'angolo.
Di questo però ne abbiamo già parlato spesso nel passato (ad esempio QUI, QUI e QUI )
L' Amaro Caso della Baronessa di Carini ebbe quindi molti padri e diversi artefici, tanto per cominciare si decise di ricostruire parte del gruppo responsabile del successo di un altro sceneggiato: Il Segno del Comando.
Daniele D' Anza (1922-1984 )
Dalla miniserie precedente vennero richiamati il regista ( il milanese Daniele D'Anza ), lo sceneggiatore (Lucio Mandarà ), l'autore delle musiche ( Romolo Grano ), e l'attore principale ( Ugo Pagliai ).
Di Pagliai nei panni del protagonista Luca Corbara abbiamo già detto nel precedente POST.
Va detto che l'attore toscano da tempo aveva stretto un sodalizio artistico con il regista al punto che, nel corso degli anni 70s e 80s sarebbe apparso in numerose serie girate dal realizzatore meneghino.
Sodalizio simile si era creato tra D'Anza e lo scenarista Mandarà, possibilista il primo e decisamente scettico il secondo i due avrebbero spesso unito i loro punti di vista nel creare numerosi sceneggiati televisivi, ad argomento fantastico o macabro.
Se nelle precedenti collaborazioni come Il Segno del Comando i due avevano attinto a storie e leggende romane in questo caso compiono l' operazione con atmosfere ed ambientazioni isolane; merito sopratutto di Mandarà, siciliano di origine, se nello script entrano elementi storici e tradizionali come la setta dei Beati Paoli, i cantastorie siciliani o la stessa antica ballata con la storia della morte della baronessa di Carini.
Il poemetto esisteva in forma orale già da secoli in diverse varianti e versioni (in siciliano, italiano e francese ) finché alla fine del 1870 il letterato Salomone Marino raccolse la maggior parte delle oltre 400 versioni in un volumetto che ricostruiva la storia. Va detto però che Mandarà preferì utilizzare una ulteriore versione, quella raccolta e musicata nel ventesimo secolo da un ricercatore e folk singer calabrese di nome Otello Profazio.
Non a caso i due autori D'Anza e Mandarà preferirono definire la loro creazione come una sorta di "Romanzo Popolare" più che come di uno sceneggiato.
Di entrambi poi fu l'idea di spostare la vicenda principale al 1812 lasciando la storia dell'omicidio cinquecentesco solo come antefatto di tutta la storia.
Fedele alla vocazione pedagogica che allora aveva l'emittente di Stato, lo stesso Mandarà prima della messa in onda della miniserie aveva realizzato una sorta di prefazione in cui spiegava diversi retroscena riguardanti la storia della "Barunissa" di Carini compresa una intervista allo stesso Otello Profazio.
In pratica una sorta di contenuto speciale prima ancora che fossero inventati.
Ma di cosa parlava precisamente questo poemetto?
- LA VERA "BARUNISSA".
Si è sempre detto che in tutte le leggende esiste un fondamento di verità.
Questo non è sempre vero, però in questo caso possiamo proprio dire di si.
Il vero castello di Carini.
La storia, o la leggenda se preferite, narra di una giovane nobildonna, Donna Laura Lanza, la ragazza ha solo 14 anni però ha già una simpatia ricambiata per un nobile suo coetaneo.
Il giovane risponde al nome di Ludovico Vernagallo.
I due si amano, si vogliono, si vorrebbero sposare.
Purtroppo però il padre di Laura, Don Cesare Lanza obbliga la ragazza a contrarre matrimonio con Vincenzo Talamanca il Barone di Carini.
Matrimonio di interesse, senza amore.
I La Grua-Talamanca, signori del Feudo di Carini sono una famiglia di antico lignaggio, di grande potere però sono anche estremamente squattrinati; tutto quello che gli interessa sono i soldi che i Lanza possono portare in dote.
Laura passa le sue giornate da sola, si riavvicina a Ludovico, anche se secondo alcune versioni della leggenda tra i due non ci sarebbe che amicizia.
Scattano però le maldicenze e le gelosie.
Cose di cui approfittano i La Grua-Talamanca per liberarsi della ingombrante presenza della ragazza.
Avvertiti ( a quanto sembra da un monaco chiacchierone) di un incontro tra Laura e Ludovico il padre della ragazza e il suo marito si mettono d'accordo per far scattare il " delitto d'onore".
I due accompagnati da diversi armigeri sorprendono gli amanti il 4 dicembre 1563 senza lasciargli nessuna via di fuga, a questo punto però le cose si fanno un poco confuse.
Secondo la maggior parte delle versioni, compresa quella ormai ufficiale, raccolta da Salomone Marino, sarebbe stato padre della "barunissa" Laura, Don Cesare Lanza e non suo marito Vincenzo ad ucciderla.
Del fatto, esisterebbero anche delle prove materiali negli archivi della chiesa madre di Carini, così come esisterebbe una lettera scritta da Cesare Lanza diretta al Re di Spagna in cui dichiara di aver compiuto il gesto per motivi di d'onore e in cui chiede di non essere punito per il gesto (esistono comunque varianti della leggenda secondo le quali almeno il giovane Ludovico riuscì a sfuggire all'eccidio)
Uno dei cartelloni utilizzati ancora oggi dai cantastorie
per raccontare la vicenda della baronessa di Carini
La storia ha un finale triste ma agrodolce.
Il padre di Laura non pagò mai per il suo crimine, venne perdonato dal Re che gli restituì anche i beni che in un primo momento gli erano stati sequestrati.
Lo stesso avvenne per il marito della donna.
Don Vincenzo La Grua- Talamanca passò gli anni seguenti a dilapidare il patrimonio della dote della defunta moglie.
Nel suo caso però si può dire che ci fu almeno un poco di giustizia.
Il nobile visse molto al di sopra delle sue possibilità ed una volta impegnati gli ultimi gioielli di Laura morì praticamente in povertà.
Questa la storia, questa la leggenda.
Ancora a Carini oggi ci sono cantastorie, gli ultimi rappresentanti di questa tradizione secolare, che raccontano a modo loro la vicenda della baronessa perpetrando così il ricordo di questa vicenda.
Il resto lo hanno fatto le dicerie messe in giro (probabilmente per motivi di turismo) in anni recenti su ipotetici fantasmi della nobildonna.
- ATTORI E PERSONAGGI.
Ci sarebbe ancora molto da aggiungere, per ora limitiamoci a dire che una gran parte delle fortune delle vecchie produzioni RAI - e della fascinazione che ancora oggi provocano in molti spettatori- sta nel fatto che l'ente si Stato poteva contare su attori di gran classe, spesso provenienti dal mondo del Teatro o da un ancora ricco e vitale mondo del Cinema.
Eccellente risultò ad esempio la partecipazione del grande attore teatrale Paolo Stoppa che vestiva i panni del burbero Don Ippolito, a lui, ad esempio si debbono gli unici sprazzi d'ironia di tutta la narrazione. Ancora più riuscito e tuttora ricordato dai telespettatori dell'epoca fu il Don Mariano D'Agrò interpretato dal "cattivo" per eccellenza della televisione italiana: Adolfo Celi.
Celi contribuì al successo dello sceneggiato creando un personaggio malvagio ma si ma sornione e flemmatico quanto basta, costruendo un interpretazione da manuale.
Adolfo Celi (1922-1986)
in una scena dello sceneggiato.
La Agren si era costruita una sua nicchia recitativa nel nostro paese come interprete di tante commedie all'italiana, spesso in ruoli scollacciati in produzioni di serie B o Z, oppure in tante produzioni horror di registi come Lucio Fulci. Ruoli a cui sarebbe comunque tornata dopo la conclusione di questa serie finché, al termine degli anni 80s la Agren, considerata chiusa la sua parentesi cinematografica si appresto a tornare in patria intraprendendo lì una nuova attività imprenditoriale.
L'Amaro Caso della Baronessa di Carini rimane quindi ancora oggi forse il punto più alto della sua carriera, il suo ruolo migliore. L'attrice scandinava interpretò con soavità una parte non facile, quella della vittima predestinata. La Agren fu una magnetica Laura D'Agrò, la Baronessa di Carini dell'anno 1812 una donna condannata dai sentimenti senza avere colpe.
Paolo Stoppa (1906-1988) al centro in un attimo
di pausa durante le riprese.
- MISTERI E COMPLOTTI; TRAGEDIE E SPOILER.
L'Amaro Caso della Baronessa di Carini in definitiva fu una lunga cavalcata tra giallo e noir con l'aggiunta di una robusta dote di narrativa popolare, una immensa opera ricca di atmosfere a metà tra il macabro ed il romantico.
E fu anche una miniserie che pur non contenendo apparentemente nessun elemento horror o gotico evidente riuscì comunque a proporre atmosfere ed influenze di quei generi.
Principalmente però era e rimane la storia di un attrazione, una lunga attrazione che inesorabilmente avviluppa senza via di uscita i due protagonisti.
Attrazione tra Laura D'Agrò e Luca Corbara, attrazione tra amore e morte, tra passato e presente.
Ma non tra il Bene e il Male, perché a parte due o tre eccezioni non esistono personaggi totalmente innocenti.
Pochi tra loro sono realmente quelli che sembrano all'inizio, pochi sono coloro che non hanno Segreti inconfessabili.
Janet Agren e Ugo Pagliai
Una eccezione può essere rappresentata dalla stessa Donna Laura D'Agrò, una ragazza innamorata senza colpe. Un altra è l'anziano Don Ippolito, lo stesso Luca Corbara nel corso della racconto dimostrerà di non essere totalmente dotato di motivazioni cristalline, ma -anzi- di avere qualcosa da nascondere.Per tutti e quattro gli episodi si respira un clima di predestinazione, di rassegnazione quasi, perché la tragedia avvenuta trecento anni prima si sovrappone alle vicende di Luca e Laura condannando i due innamorati a riviverla fino in fondo senza via di fuga, senza speranza.
Già, fino in fondo.
La storia si ripete.
Per la seconda volta gli amanti saranno vittime di una tragedia, ma anche color che l'hanno provocata rimarranno con la sensazione profonda di essere stati solo delle pedine nella gigantesca scacchiera del Destino.
E rimane solo l'immagine di un vecchio solo, il povero Don Ippolito nell'atto di scrivere una lettera alle autorità con la speranza perlomeno di avere un minimo di giustizia.
Ancora oggi a quasi quarant'annidi distanza quelle scene crudeli e senza speranza continuano ad affascinare, ancora oggi quel finale rimane uno dei più indimenticabili di tutta la Storia della Televisione.
Probabilmente se si tornasse a contare sulle idee ed un po meno sui format magari anche la Televisione di oggi (e qui parlo specialmente della Televisione italiana ) ne guadagnerebbe.
- CURIOSITA' .
Lucio Mandarà ( 1923-2009 )
- Daniele D'Anza girò L'Amaro Caso della Baronessa di Carini impiegando pellicole a colori, ma la RAI nel 1975 trasmetteva ancora in B\N e fu in questo formato che gli italiani videro per la prima volta anche questo sceneggiato.- Nel 2007 è stato realizzato dalla RAI una sorta di remake intitolato La Baronessa di Carini,scritto sempre da Lucio Mandarà. La nuova versione ha trasportato l'azione in epoca garibaldina ed ha come protagonista l'ex gieffino Luca Argentero.
In questo caso è stato inserito anche un happy end che sa tanto di posticcio.
Ed anche in questo caso non è piccolo particolare, non è un elemento da poco.
Perché a suo modo è un segno dei tempi.
Nonostante alcuni elementi di pregio come una grande prova recitativa di Lando Buzzanca ( più una soddisfacente recitazione di Vittoria Puccini ) rimane comunque molto inferiore all'originale.