Tra mani stringeva una cartella clinica che decretava il suo destino, mentre il ticchettìo dell’orologio a muro tornava, lentamente, a risuonare tra le pareti nude della stanza. Si guardò intorno e s’accorse come negli anni aveva trascurato la sua vita. Adesso camminava senza meta. Non avrebbe più avuto il tempo per comporre, e la cosa terribile, che lo aveva sin dal mattino consumato, fu la consapevolezza lucida che, anche se fosse in quella sera d’autunno scomparso nel nulla, nessuno se ne sarebbe accorto. Un tempo erano quelle le ore che amava dedicare allo studio delle sue composizioni. Per nulla al mondo si sarebbe tuffato nella sera per una passeggiata o concesso alla allegra compagnia dei suoi amici: ma quella era una sera particolare. Aveva trovato il nome, in quella cartellina arancione, all’agitazione che per tutta la giornata lo aveva tormentato. Si buttò addosso il soprabito e con il bavero rialzato si trovò, solo, nella strada semibuia circondato da quei maestosi ippocastani dai tronchi screpolati. Fin dal mattino s’era svegliato in preda a pensieri contrastanti, che si torcevano nella mente, mentre sentiva accrescere dentro di sé un peso che gli opprimeva l'animo. Era piacevole adesso sentire in faccia i primi freddi di un autunno stanco e camminare con le mani affondate nelle tasche e con la testa china in avanti, in mezzo a quel calpestìo di foglie, ora che il suo cammino precedeva il solco del suo destino….