di Cristiano Abbadessa
Qualche giorno fa, nel telegiornale regionale del primo pomeriggio, mi sono imbattuto in una delle veloci presentazioni culturali dedicate in rapida sequenza a mostre, libri, concerti e quant’altro. Guardando le immagini, mi è subito parso di riconoscere la location della breve intervista in cui l’autrice spiegava il suo libro: a dispetto di un abbondante quarto di secolo trascorso e delle numerose ristrutturazioni (a cominciare dal solito malefico campetto di calcio in sintetico al posto della ruvida pelata di un tempo), gli spazi e la dislocazione degli edifici principali mi richiamavano l’oratorio in cui avevo trascorso buona parte della fanciullezza e un po’ di gioventù. Infatti, il giornalista ha di lì a poco confermato che proprio lì si trovavano e che in quell’oratorio l’autrice in questione aveva ambientato il suo romanzo (una storia d’amore giovanile metropolitana, se ho ben capito).
Un paio d’anni fa è uscito invece un romanzo intimo e generazionale di un’altra scrittrice (anche e soprattutto regista cinematografica), buona parte del quale è ambientato nel liceo che entrambi abbiamo frequentato, seppure con leggera sfasatura temporale (lei è più giovane di tre anni, se non sbaglio). Dunque, i due luoghi in cui ho trascorso la gran parte del mio tempo tra i dieci e i vent’anni di età (che corrispondono al momento più intenso della formazione etica, morale, sociale, politica e culturale) sono entrambi diventati, seppure solo di recente, due luoghi letterari, di quelli dove si organizzerebbero i percorsi per turisti se le due autrici fossero Kafka o anche solo Vázquez Montalbán.
Al momento non ho letto nessuno dei due romanzi, ma ne sono ovviamente tentato. Della regista che ha raccontato la storia della sua giovinezza e del mio liceo so che si è attenuta rigorosamente alla realtà, che ci sono persino miei compagni di classe ben riconscibili tra i personaggi, che l’identificazione è inevitabilmente forte e immediata: peraltro, ho un preciso ricordo di lei ragazzina timida e introversa, perchè suo malgrado era una celebrità di riflesso (sto parlando della figlia del più famoso tra i leader dell’Autonomia, tanto per non fare nomi). Della giornalista di un notissimo quotidiano nazionale che ha ambientato il suo romanzo nel mio oratorio, invece, so poco o nulla: ne leggo gli articoli (che sono di cronaca), non so che età abbia di preciso, so per certo di non averla conosciuta in gioventù e so anche che il romanzo esplora il mondo adolescenziale di oggi, a differenza di quello di cui sopra che è ambientato nel mondo adolescenziale degli anni settanta.
Penso alla mia curiosità per queste due opere, certo molto diverse tra loro, e mi (vi) pongo qualche domanda.
Passo in rassegna i libri pubblicati dalla nostra casa editrice. Alcuni hanno ambientazione reale ben definita, precisa e rigorosa, con i toponimi citati e gli scenari descritti in vivo dettaglio per come sono (o come erano), ben riconoscibili: penso al romanzo e ai racconti di Paccini, ai romanzi di Blanchetti, Casalino, Petrovich e Boscolo, anche se in quest’ultimo l’ambientazione più importante sfuma per necessità, essendo il mare aperto. Abbiamo poi autori che hanno mascherato sotto nomi di fantasia luoghi precisi e ben identificabili, in cui tutti i microtoponimi cambiano designazione ma restano con evidenza di facile individuazione per chi ha capito il giochino: i romanzi di Minetti e Damiani, e i racconti di Less ne sono esempio significativo. Infine, abbiamo opere in cui il luogo non è indicato, rimane volutamente senza nome e gli elementi per dargli una collocazione geografica precisa sono giocati in modo da suggerire risposte possibili ma da non consentire una certa identificazione. Certo, Sofia ci racconta una città meridionale di mare, e un riferimento storico ci suggerisce anche quale potrebbe essere: ma i dettagli sfumano e si rendono talora sovrapponibili ad altre città gemelle. Di Martino ambienta in una località della provincia profonda, che tale è con evidenza ma della quale nulla ci aiuta a stabilire neppur vagamente le coordinate geografiche. Trovato, fra l’altro premiato ieri a Roma con un prestigioso riconoscimento, ci porta in una metropoli e ai suoi margini, più probabilemnte a Roma che a Milano ma senza averne certezza, e lasciando accuratamente sfumate le ambientazioni dei singoli episodi.
A scanso di qualunque equivoco, preciso che sono pienamente convinto della bontà delle scelte compiute da tutti i nostri autori. Definire e descrivere andava bene dove è stato fatto perché i luoghi erano protagonisti, così come certe allusioni scoperte ma non dichiarate funzionano per storie dal valore non inestricabilmente legato all’ambientazione, mentre la sostanziale non definizione è adatta laddove gli scenari sono sovrapponibili a realtà geografiche diverse senza che nulla si perda. Le scelte corrispondono a esigenze narrative, e in tal senso sono perfette.
Mi resta però la curiosità di capire quanto una storia, purché adatta, guadagni un “qualcosa in più” quando l’ambientazione è precisa, quando il lettore può essere affascinato e attratto dalla possibilità di ritrovare in letteratura luoghi conosciuti e per lui significativi. Forse queste caratteristiche possono, per così dire, limitare il “bacino d’utenza”; è però un fatto che, tra le nostre opere, quella che ha fatto registrare un piccolo boom a livello locale è proprio quella in cui compaiono luoghi che sono un preciso riferimento per una popolazione definita e limitata che li sente suoi (per capirci, non è lo stesso se parlo del liceo di provincia o di piazza Duomo a Milano).
Da editore, sono propenso a credere che, con un occhio al marketing, le ambientazioni siano utili e paganti. Da direttore editoriale, mai sacrificherei una buona storia a considerazioni banalmente e superficialmente commerciali, a volte aleatorie. E così la domanda resta in sospeso, e la giro a chi mi legge.
Rispondendomi anch’io, da lettore, che un certo valore aggiunto nell’ambientazione definita ed evocativa ci deve però essere. Tanto è vero che ho accomunato in questo post e nella mia curiosità un romanzo genrazionale che sono quasi certo mi piacerebbe molto (e di cui tanti mi hanno parlato bene) e una storiella che credo non mi interesserebbe gran che. Spartiscono solo il fatto di essere due storie ambientate nei luoghi della mia giovinezza: e non è, evidentemente, poco.