L'America che mi piace

Da Paolomassa
Qualcuno mi aveva detto: “L’America non è New York”. Anche per questo sto cercando, durante questo mio periodo di stage newyorkese, di uscire - quando posso - dai confini di Manhattan. Lo scorso 6 settembre, Labor Day qui negli Stati Uniti (una sorta di ferragosto americano), decido di fare una gita di un solo giorno a Washington DC. Parto all’1:15 di notte dal Madison Square Garden e arrivo quando è ancora scuro nella capitale, intorno alle 6:30. Il viaggio non è così poi tanto lungo, e la stanchezza ancora non si fa sentire nonostante non dorma come si deve da almeno 12 ore. In autobus cerco di appisolarmi, ma l’impresa non è delle più semplici. Sceso dal bus comincio a cercare disperatamente un diner dove fare una nutriente colazione americana a base di pancake e uova strapazzate. Giro un po’ a vuoto senza trovarne nemmeno uno, poi chiedo a un poliziotto che subito mi dà le giuste indicazioni per raggiungere il Lincoln Diner.
Mi siedo al bancone pronto ad ordinare la mia colazione da campione, e come già previsto scelgo i soliti pancake (cui mi sono davvero affezionato, dopo averli provati la prima volta da Gerardo nel New Jersey) con aggiunta di uova. Il cameriere è molto gentile, si assicura che tutto sia perfetto e non appena arriva la mia colazione mi ci butto a capofitto senza pensare ad altro. Cerco di cospargere al meglio lo sciroppo sui miei tre pancake, in modo che non restino troppo a secco. Appena finisco, posso ritenermi soddisfatto e soprattutto sazio. Decido di lasciare un paio di dollari di mancia al cameriere, che molto contento prende da sotto il bancone una mappa di Washington per indicarmi tutti i posti da vedere in un solo giorno. Che bel regalo, penso all’istante, ed è la prima volta qui in America che la mia mancia sia stata ben spesa. Saluto il cameriere e mi incammino per la mia giornata da turista a passeggio per la capitale degli States. A ripensarci ora, mi sembra ancora di sentire la stanchezza sulle gambe e sui piedi. Per il bagaglio di ricordi che mi son portato di ritorno a New York non c’è fatica che tenga, però.
Arrivare all’alba e camminare lungo il National Mall, vedere sorgere il sole pian piano dietro il Campidoglio, andare a fare qualche foto alla Casa Bianca di Barack Obama (almeno per ora: è la democrazia, bellezza), alzare lo sguardo in cielo per ammirare in tutta la sua lunghezza il George Washington Monument ed emozionarsi nel vedere in lontananza la gradinata del Lincoln Memorial che tanti pezzi di Storia ha visto passare sotto i suoi occhi (dal discordo I have a dream di Martin Luther King alla celebrazione per la vittoria di Obama, primo presidente nero della storia americana). Cammino per più di 12 ore con l’obiettivo di vedere tutto quello che desidero. La parte più faticosa è raggiungere (sempre a piedi, per potermi godere la vista dall’Arlington Bridge del Potomac River) il cimitero militare di Arlington. Tappa obbligata per me che voglio andare a rendere omaggio ai due fratelli John e Robert Kennedy.

L’emozione è fortissima appena giungo sulla tomba di JFK e alla vista dell’Eternal Flame, omaggio perfetto ad un presidente che continua ad essere pianto anche oggi. Posso giurarvi di aver sentito una ragazza piangere lacrime vere dinanzi a questo fantastico memoriale. Poco distante da JFK, sulla sinistra, rendo omaggio anche a Robert Kennedy, pure lui caduto sul campo di una battaglia politica che forse l’avrebbe portato alla presidenza. Non dimenticherò mai il lungo viaggio del treno che portò la salma del povero Robert a casa, e le migliaia di persone ferme, lì vicino ai binari, a porgere il loro ultimo, commosso saluto.

Questa è l’America che mi piace. Non mi sono fatto mancare proprio niente, insomma, durante questa mia indimenticabile gita fuori porta a Washington DC, neanche una conclusiva e fugace visita (gratuita) al National Museum of American History, dove c’era una interessante esposizione dedicata al mitico Abramo Lincoln, che continua a lanciare uno sguardo severo e paterno dall’alto dell’imponente memoriale che svetta sul lungo sentiero della democrazia americana. May God bless all of you, dear Americans!

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