La pulsione conservatrice e il vizio delle armi sembrano in netta ascesa negli Stati Uniti.
Legate a filo doppio, si alimentano a vicenda ed evidenziano un dualismo provincia-città, sud-nord, che crea solchi profondi nella società, sfruttando le mai risolte divisioni storiche, geografiche e raziali. Una lotta intestina persino al partito che ha la conservazione come fine, quello Repubblicano. Proprio in questo schieramento assistiamo oggi a una netta divisione tra moderati e Tea Party; l’ala più radicale della destra istituzionale, che cavalca la scontentezza dell’immensa classe media, affossata dalla crisi e trascinata verso la povertà. Il partito del thè, il cui nome si rifà alla dispersione in mare del thè come protesta contro i dazi britannici pre -indipendenza, è la parte più a destra della destra politica che custodisce l’americanità pura e vede l’attuale presidente Obama come il primo dei nemici.
Ted Cruz, senatore texano del partito repubblicano
Queste convinzioni sono cavalcate perfettamente dall’astro nascente della politica dell’elefante, Rafael “Ted” Cruz, il rampante e determinato senatore in seconda del Texas; a suon di “no”, il deciso junior, ha dato guerra a ogni disegno di legge Obama come l’estensione sanitaria, la lotta alle armi, l’apertura all’immigrazione e le scelte per contrastare il pericolo default, tutte cose spregevolmente di sinistra e “non americane” per il determinato Cruz. Oltre alla battaglia politico-legale che si consuma quotidianamente tra gli scranni di Washington, assistiamo alle vive proteste della strada, dei comizi improvvisati di questa parte, l’unica secondo molti in grado di difendere gli interessi della vera America “redneck”. Non più maccartismo e caccia alle streghe, ma per i più colpiti della crisi del 2009 un netto contrasto a tutto quello che è diverso e incarnato da Barack Hussein Obama, l’incarnazione di tutto ciò che è male per questa provincia ai margini. Un Presidente “non così” americano, impegnato quotidianamente a demolire le certezze della middle class degli stati più culturalmente arretrati che reagisce affidandosi completamente ad un altro “non così” americano dal cognome ispanico (ai suoi sostenitori non importa); Cruz, sull’intoccabilità del quinto emendamento, sull’inviolabilità dei diritti di proprietà e della persona e su una visione tanto liberale quanto liberticida della cosa pubblica, sta costruendo il suo carro da guerra per le prossime primarie. Non sono le lobby delle armi a difendere il diritto di possederne ma è il sentimento di rivincita di questi cittadini delusi e impauriti, aizzati e spinti all’autodifesa armata dall’espansione dello Stato fagocitatore della libertà individuale. Un diritto costituzionale come ultimo baluardo da difendere in nome della sicurezza dei singoli che, dalla storia e dalla leggenda, trae legittimazione.
L’America non sarebbe nulla oggi senza i proclami e le pallottole, dalla conquista del west all’ultima guerra in Iraq, la potenza americana si è supportata e ha tratto la sua forza internazionale dalla propaganda e dagli arsenali. 310 milioni le armi in possesso dei privati, una distribuzione di 90 pistole ogni 100 abitanti, 31 mila morti all’anno a causa di un proiettile, due milioni di cittadini che ogni anno sparano per autodifesa, una legislazione eterogenea da Stato a Stato e tantissimo traffico nero. Un’emergenza agli occhi di molti ma una necessità imprescindibile agli occhi di altri, moltissimi, che sostengono fieramente l’errata equazione più armi più sicurezza. Il culto della Colt e del Winchester non è per nulla tramontato e, messo timidamente in discussione dalle istituzioni dopo le recenti e cicliche tragedie, si ripropone più forte nelle strade. Così, ogni fiera, ogni vendita pubblica di armi automatiche e da guerra, ogni manifestazione organizzata dalle case costruttrici, diventano dei comizi anti-Obama. Sentimenti pulsanti di un’insana rabbia e rancore che solo sotto le elezioni vengono incanalati e giungono nei salotti buoni, addobbati dagli enormi aiuti monetari che le lobby conservatrici danno al proprio cavallo da corsa. E’ il caso di Ted “il non americano” che, nelle speranze di molti, guiderà armi in pugno i “veri americani” alla riconquista della Casa Bianca.
Michel Andreetti