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L’America è stata scoperta dai fratelli Zen, veneziani, nel 1390 Intervista ad Andrea Di Robilant

Creato il 28 aprile 2014 da Tiziana Zita @Cletterarie

IMG_4521 bb - Versione 2Il nostro giro delle isole si arricchisce di un viaggio davvero unico, quello narrato da Andrea Di Robilant nel suo libro Irresistibile Nord, che mi ha raccontato un pomeriggio in un bar di Monteverde. Un viaggio che comincia nel 1300, anzi ancora prima nell’anno Mille, e in cui c’è una mappa misteriosa, degli indigeni cannibali, delle isole che non esistono e, tra l’altro, l’inconsapevole scoperta dell’America.

Stavo nella Biblioteca Marciana, a Venezia, quando è entrato un turista americano in calzoni corti, maglietta e cappellino che era sceso da una delle navi crociera che solcano il canale della Giudecca. Si aggirava con un foglietto di carta, perciò mi sono alzato per aiutarlo. Lui mi ha dato il foglietto con su scritti due nomi “Nicolò e Antonio Zen” che a me non mi significavano niente. Lui allora mi ha detto: “Sa, nel paesino da cui provengo, nel Connecticut, lo sappiamo tutti che Nicolò e Antonio Zen hanno scoperto l’America nel 1390”. Io l’ho guardato strano e ho pensato: “Certo da queste navi crociera scende di tutto”. Ho tirato fuori un libro dagli scaffali, ho trovato un palazzo Zen, perché lui voleva farsi fotografare davanti al Palazzo Zen prima di tornare al suo paese. Così l’ho mandato a palazzo Zen. 

Sennonché qualche giorno più tardi, mentre camminavo in tutt’altra zona della città, passo davanti a un palazzo e vedo una lapide dove c’è scritto: “Qui vissero Nicolò e Antonio Zen, navigatori arditi che solcarono il nord Atlantico eccetera, eccetera”. Allora mi sono detto: “Porca miseria, l’ho mandato nel posto sbagliato!”

Ma chi sono questi due di cui io non ho mai sentito parlare e che a quanto pare hanno fatto queste imprese? Allora il giorno dopo sono andato in biblioteca, ho messo da parte il mio lavoro e mi sono messo a cercare. E si dà il caso che proprio nella Marciana c’è la copia originale del libricino pubblicato nel 1558 dal pronipote Nicolò il Giovane, che racconta le gesta di questi due mercanti navigatori. Con grande emozione mi metto a leggere questo libricino, stampato meravigliosamente bene, in cui c’è il racconto dei loro viaggi. La cosa straordinaria è che alla fine del libretto, incollata all’ultima pagina, c’è una mappa, quella che a Venezia chiamano una carta da navegar, cioè un’antica mappa nautica. Questa mappa mi ha ipnotizzato, sembrava una di quelle vecchie mappe del tesoro che c’erano nei libri d’avventura di quando eravamo ragazzi. Ho riconosciuto alcuni luoghi come la costa della Scandinavia, l’Islanda, la Groenlandia (per la prima volta disegnata con tanta precisione). Poi però c’erano anche delle cose strane, come un’enorme isola che si chiama Frislanda, un’altra che si chiama Icaria, che non combaciano con la realtà.

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Questo misto di mondo riconoscibile e mondo misterioso comincia ad appassionarmi per cui mi avventuro nelle storie dei due navigatori. Fratelli del celebre Carlo Zen, il salvatore della patria che aveva guidato i veneziani alla vittoria contro i genovesi in una lunghissima guerra durata più di cento anni, dei due il maggiore era Nicolò Zen. Alla fine della guerra contro i genovesi, questo messer Nicolò armò una cocca, ovvero una di quelle navi tondeggianti, per andare nei mari del nord. Ora uno si chiede: perché i mari del nord, visto che i mercati dei veneziani erano nel Mediterraneo da secoli?

Perché, già a partire dal 1300 i veneziani si resero conto che se non cercavano di entrare anche loro in questi nuovi e importanti mercati dei mari del nord, dominati dalla Lega Anseatica e da gruppi molto potenti di mercanti del nord Europa, rischiavano di perdere posizioni. Per cui bisognava diversificare, diremmo oggi. Tant’è che già all’inizio del Trecento, la Repubblica di Venezia mandava convogli di galee – cioè navi che non erano affatto disegnate per l’Atlantico – oltre le Colonne d’Ercole, su nell’Atlantico per esplorare queste rotte. E c’erano dei convogli statali di otto, nove navi, scortate che ogni anno partivano per il nord. Durante la guerra contro Genova quei convogli vennero interrotti.

Nicolò Zen ritratto da Tiziano

Nicolò Zen ritratto da Tiziano

Alla fine della guerra messer Nicolò non vuole aspettare la ripresa dei convogli statali e decide: “Ci vado io con la mia barca!” Così parte nel 1383 e fa un lunghissimo viaggio che io descrivo, fino a che viene investito da una bufera tremenda in cui perde il controllo della barca e viene spinto sempre più a nord, sempre più a nord, sempre più a nord… finché fa naufragio in un arcipelago che molto probabilmente è quello delle Fær Øer.
Ormai è praticamente nell’Atlantico, non più nel mare del nord e lì fa un incontro straordinario con Henry Sinclair, un personaggio molto importante nella storia di quella regione alla fine del Trecento. Lo scozzese-norvegese Sinclair (madre norvegese e padre scozzese) era il conte delle Orcadi. L’arcipelago delle Orcadi faceva parte del Regno di Norvegia e ne era il fulcro e la parte più ricca. Perciò il conte delle Orcadi all’epoca era una figura chiave in quella regione.

Messer Nicolò, che è un uomo colto e un veneziano, si intende subito con Sinclair. I due si mettono a parlare latino. Sembra un incontro inventato, tanto ci può sembrare irreale, ma anche Henry Sinclair era un uomo colto e conosceva Venezia, sapeva della guerra contro i Genovesi e probabilmente conosceva anche gli Zen: la Repubblica veneziana era la grande potenza dell’epoca per cui le figure storiche di Venezia erano conosciute. Sicuramente conosceva Carlo Zen, il fratello di messer Nicolò. Comunque i due dialogavano tranquillamente in latino, quindi non c’erano problemi di lingua, o di comunicazione.
Henry Sinclair capisce che messer Nicolò era un grandissimo navigatore per cui lo mette a capo della sua piccola flotta. Così messer Nicolò guerreggia con Henry Sinclair e guida la flotta nei vari arcipelaghi della regione per assicurarsi che venissero pagate le tasse. Poi compie anche lui dei viaggi a nord: abbiamo detto le Fær Øer, poi si spinge fino all’Islanda e alla Groenlandia, prima di fare ritorno all’Arcipelago delle Orcadi e da lì a Venezia.
Tutto questo è raccontato nelle lettere che lui scrive alla famiglia perché – questa è una cosa che magari ci può sorprendere oggi – le lettere circolavano normalmente con le navi dei mercanti. Forse non arrivavano sempre, non arrivavano tutte, comunque la comunicazione era abbastanza regolare ancorché, ovviamente, abbastanza lenta.

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Mappa originale dei fratelli Zen. Clicca sopra per ingrandirla.

Messer Nicolò fa delle straordinarie descrizioni dell’Islanda e anche della Groenlandia. Particolarmente dell’Islanda. Io stesso sono andato sulle orme di questi veneziani per cercare di capire che cosa avevano visto, per cercare dei riscontri. Ho rifatto quasi tutta la rotta, dalle Orcadi alle Fær Øer, l’Islanda, la Groenlandia, più o meno tutto.
Nicolò Zen descrive l’Islanda dei monasteri. Ne descrive uno con grande dettaglio e precisione. Descrive come costruivano le case, cosa mercanteggiavano, come erano organizzati, come cuocevano il pane, come creavano giardini grazie all’energia geotermale. Nelle sue lettere ci sono tutta una serie di dettagli che solo un mercante poteva notare. Lui infatti, non solo stava lì e osservava, ma si chiedeva: “Io da questi che posso imparare?”, “Come posso trarre vantaggio dalla situazione?”, “Che cosa posso vendergli in cambio di…” Per questo le lettere sono affascinanti, perché rivelano una mentalità che nel Rinascimento non troviamo più: la mentalità del mercante. Sono molto più affascinanti dei testi del Rinascimento perché nel Rinascimento scrivevano i grandi sistemi, invece nel Trecento erano molto più precisi nelle loro descrizioni.

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La questione mi incuriosiva perché in Islanda non esistono monasteri e per questo motivo messer Nicolò è stato accusato di essere un racconta balle. Ma in verità i monasteri c’erano. Otto grandi monasteri che erano un po’ il fulcro dell’attività economica, culturale e religiosa dell’Islanda. Solo che dopo la Riforma sono stati distrutti e poi le eruzioni vulcaniche e le intemperie hanno pian piano distrutto tutto quello che c’era in superficie, per cui i resti sono tutti sotto terra. Di questo gli Islandesi se ne fregano, non è che vanno a scavare come faremo noi per tirare fuori il passato.
Ecco perché per me è stato molto difficile identificare il luogo di questo monastero e l’ho fatto grazie a un’archeologa di Reykjavík che è stata l’unica che ha voluto aiutarmi. Abbiamo identificato il luogo e nel paesino a pochi chilometri da lì ancora oggi coltivano le piante e le verdure con l’energia geotermale come facevo i frati nel Trecento. Cucinano il pane in forni senza fuoco che è esattamente quello che descrive messer Nicolò e che l’ha lasciato allibito. Io ho raccontato questa cosa all’archeologa che era con me e lei senza dirmi niente mi ha portato nel paesino, in un panificio, ha preso un pane, me l’ha dato e mi ha detto: “Questo si cucina senza fuoco”. Il calore dell’attività geotermale è tale, che il pane lievita senza necessità di accendere il fuoco. Se io non fossi andato in Islanda non sarei mai riuscito a trovare questi riscontri.

Poi messer Nicolò tornò a Venezia, riprese la sua carriera statale, assunse varie cariche etc. Il fratello più piccolo, Antonio Zen, che lo aveva raggiunto nelle Isole Orcadi e anche lui si era messo al servizio di Henry Sinclair, rimase lì per altri dieci anni e lo sostituì al comando della flotta. Alla fine di questi dieci anni decisero di tentare una navigazione attraverso l’Atlantico per andare a vedere le terre di cui i pescatori naufraghi continuavano a parlare. Bisogna rendersi conto che in quegli anni c’era un grandissimo traffico attraverso l’Atlantico. Un traffico tra la costa norvegese e la Groenlandia e tutto questo faceva parte del Regno di Norvegia. Si tratta di una rotta documentata, sappiamo anche il numero delle navi. Stiamo parlando dell’anno Mille, Millecento. Quindi nel Trecento, i due veneziani finirono nel solco di quel traffico.

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Tra il Mille e il Millecento delle colonie di Vichinghi si sono insediate in Nord America. Hanno creato i primi insediamenti a Terranova e in Nuova Scozia. Di questi insediamenti abbiamo i resti, cioè questa è storia. E c’era anche la Chiesa. In Groenlandia nel 1100 c’era la cattedrale con il vescovo che veniva mandato da Roma. Queste cose mi hanno lasciato di stucco. Ad esempio c’è un episodio per cui il vescovo della Groenlandia deve risolvere il problema della consanguineità delle colonie in Nord America perché, non essendo in molti, si accoppiavano tra parenti. Perciò il vescovo è andato in Nord America nel 1150, è tornato in Groenlandia e ha scritto al Papa, dicendo: qui che dobbiamo fare? E il Papa, che era sotto assedio a Castel Sant’Angelo, ha preso carta e penna e ha risposto: quarto grado sì, quinto grado no… tutto questo è documentato. Insomma da quelle parti c’era un’attività e un traffico sorprendente.

Fine della prima parte

Giornalista, scrittore e storico, Andrea Di Robilant ha esordito con Un amore veneziano (2003), a cui è seguito Lucia nel tempo di Napoleone (2008). Irresistibile Nord, pubblicato in Italia nel 2012, è il libro in cui ricostruisce i viaggi dei fratelli Zen, cercando anche di indagare perché le loro imprese siano state dimenticate. L’ultimo suo libro, Chasing the Rose, appena pubblicato negli Stati Uniti, è di prossima uscita in Italia col titolo Sulle tracce di una rosa perduta.


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