Su quali basi un paese senza esercito, pacifista per vocazione, può essere amico di uno che ogni anno manda a morte quattromila condannati ed esercita repressioni su regioni occupate con la forza militare?
La convenienza è il collante che unisce la Cina Popolare alla Costa Rica, un collante così forte al punto che il governo di San José non se l’è sentita (era il 2008) né di condannare la repressione nel Tibet né di autorizzare la visita che il Dalai Lama aveva previsto a San José.
Eppure, fino al giugno 2007 il paese centroamericano era saldamente arroccato sulle sue posizioni di difesa dei diritti umani e di appoggio a Taiwan, a cui lo legava un’amicizia vecchia di sessanta anni. Il Puente de la Amistad, il ponte dell’Amicizia, che cavalca la foce del fiume Tempisque unendo la penisola del Guanacaste, la regione turistica del paese, al resto della Costa Rica era stato appena costruito. Sulla base di una delle sue colonne, ancora oggi una targa ricorda l’inaugurazione dell’opera, avvenuta nel 2003 e finanziata proprio da Taiwan. Un simbolo d’amicizia che è diventato invece emblema di abiura quando la Costa Rica primo e finora unico paese centroamericano, ha rotto ogni relazione con Taipei per schierarsi apertamente con Pechino.
Vecchi amici che vanno e nuovi amici che vengono, da allora, la Cina Popolare ha posato salde basi in territorio costaricano, diventandone in soli cinque anni il secondo socio commerciale dopo gli Stati Uniti. A San José, in segno di riconoscimento, si sta costruendo una Chinatown, un’opera che è stata criticata per il suo impatto urbanistico, visto che per la sua realizzazione si è dovuto sventrare una parte del centro città, ma che è un esplicito ringraziamento a chi continua a versare soldoni nelle casse del tesoro tico.
Per i cinesi, già presenti con forti investimenti a Panama, l’alleanza con la Costa Rica è strategica ai fini della presenza in una regione che è rimasta fedele a Taiwan. Dei ventitrè paesi che riconoscono il governo di Formosa, ben sedici appartengono infatti all’area centroamericana e caraibica. Un tesoretto che da Taipei hanno sempre cercato di amministrare con perizia e lungimiranza, seducendo gli alleati con donazioni ed una generosa cooperazione. Con l’apertura della Cina Popolare, il compito è però diventato arduo, complice le opportunità offerte dal mercato continentale cinese ed una concorrenza –in quanto a donazioni- che è diventata spietata. I costaricani, a cambio della loro fedeltà, hanno ricevuto in questi cinque anni uno stadio da trentamila posti, migliaia di computer per le scuole pubbliche e pattuglie nuove di zecca per la polizia, per un totale di più di 500 milioni di dollari.
Laura Chinchilla, presidente della Costa Rica, è tornata a Pechino la settimana scorsa per battere di nuovo cassa. In particolare, l’accordo raggiunto prevede che i cinesi trasformino in autostrada la statale che attualmente collega il porto atlantico di Limón con la capitale, arteria strategica per il commercio nel paese, un’opera con un investimento vicino ai 400 milioni di dollari. Del lontano oriente, poi, i costaricani pretendono di copiare il sistema informatico della polizia, per modernizzare un settore che finora si è dimostrato uno dei più traballanti dell’amministrazione Chinchilla, quello della sicurezza. Ancora una volta, resta da verificare come, un paese che si dichiara neutrale e pacifista, privo di esercito, possa coniugare un’alleanza con la polizia ed un sistema giuridico di un paese dove vige la pena di morte.
I cinesi, intanto, sovvenzionano e pagano senza battere ciglio. La Costa Rica si è trasformata in una base sicura per assicurarsi un’area che varrebbe a Pechino non solo l’isolamento diplomatico di Taiwan, ma differenti e succulente opportunità. Una circostanza che è stata confermata dalla stessa Chinchilla, che ha ricordato come il suo paese vuole offrire alla Cina la possibilità di ¨esplorare meccanismi per lo sviluppo¨, cominciando dalla creazione di un parco industriale di aziende cinesi che, protette dalla legislazione costaricana, possano esportare al resto dell’America latina.
Si tratterebbe di approfittare non solo le facilitazioni offerte dal Cafta, il trattato che lega i paesi centroamericani con gli Stati Uniti, ma anche e soprattutto i vari convegni che la Costa Rica mantiene con gli altri paesi del continente americano (tra cui Messico, Canada, Cile, Panama e Perù) per introdurvi, liberi da imposte, quanto venga fabbricato nella zona franca cinese. La relazione, insomma, è solo agli inizi. Costa Rica e Cina hanno firmato nel marzo 2011 un trattato commerciale che permette il libero scambio dei loro prodotti. Nel decennio 2000-2010 le esportazioni di San José verso la Cina popolare sono cresciute al frenetico ritmo del 37% annuale, paragonabile a quello delle importazioni, che attualmente si è fissato in un 30%. Le conseguenze sono visibili a tutti. I negozi costaricani, soprattutto quelli al dettaglio, sono stati sommersi da una valanga di articoli il cui consumo, legato al valore acquisitivo, è diventato massivo.
Nonostante le critiche –arrivate anche a profusione dallo storico alleato Usa- la Costa Rica non ha intenzione di cambiare quest’amicizia proficua e generosa. Una dimostrazione di lealtà che i cinesi hanno premiato, accettando la candidatura di San José come sede del VII Summit commerciale con i paesi dell’America latina, previsto nell’ottobre del prossimo anno e che avrà le sue ripercussioni anche nel campo politico internazionale.
Magazine Attualità
L’amicizia che non ti aspetti: la strana coppia Cina-Costa Rica
Creato il 02 settembre 2012 da EldoradoPossono interessarti anche questi articoli :
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