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“L’amico ritrovato” di Fred Uhlman: non è mai troppo tardi per riscattarsi agli occhi di chi abbiamo amato

Creato il 09 settembre 2015 da Alessiamocci

“Entrò nella mia vita nel febbraio del 1932 per non uscirne più. Da allora è passato più di un quarto di secolo, più di novemila giorni tediosi e senza scopo, che l’assenza della speranza ha reso tutti ugualmente vuoti – giorni e anni molti dei quali morti come foglie secche su un albero inaridito”.

È curioso pensare come con un solo libro si possa lasciare un’impronta indelebile nella storia della letteratura e, soprattutto, nel cuore dei lettori. È quanto è accaduto allo scrittore tedesco Fred Uhlman (1901- 1985) con “L’amico ritrovato” (Feltrinelli in Universale economica, 2013), un romanzo breve pubblicato nel 1971 che racconta la storia fra un ragazzo ebreo e un compagno di classe tedesco, di nobili origini. Uhlman, oltre a quello che è considerato un capolavoro assoluto, ha in effetti scritto poco altro – un’autobiografia e alcuni testi brevi.

“L’amico ritrovato” è il romanzo della nostra giovinezza, quello che solitamente danno da leggere nelle scuole durante le vacanze estive, insieme a “ Il piccolo principe”. A me, per esempio, è stato regalato per il mio undicesimo compleanno da una cara cugina, ed è stato il primo approccio alla lettura. Alcuni giorni fa l’ho ripreso, perché devo ammettere che ne ricordavo la storia per sommi capi, ma non sarei mai riuscita ad entrare nel particolare.

Sebbene non tratti in prima linea di battaglie o eventi delittuosi – qui abbiamo dei ragazzi sedicenni che vanno a scuola –, il romanzo analizza forse meglio di qualunque altro quel clima di odio razziale nei confronti degli ebrei che si era diffuso durante la Seconda Guerra Mondiale. E di quanto gli adolescenti sappiano essere crudeli nei confronti del “diverso”. O meglio, di chi l’opinione pubblica indica come nemico, senza neppure comprendere un concetto che è più grande di loro e di sicuro non gli appartiene.

È il 1932 e in un liceo di Stoccarda Hans Schwarz, figlio di un medico ebreo, e Konradin von Hohenfels, figlio di un conte tedesco, stringono una profonda amicizia. Entrambi solitari e taciturni, i due ragazzi trovano insieme la gioia di condividere le proprie passioni: per esempio collezionare antiche monete. Coltivando le illusioni tipiche dell’adolescenza, finalmente si sentono meno soli.

Ben presto la situazione evolve in maniera drammatica e in Germania esplode la campagna antisemita. Hans si rende conto che il suo amico è affascinato dagli ideali e dalle tematiche del nazionalismo e che non intende presentarlo ai suoi genitori – la madre odia gli ebrei per partito preso. Per Hans è una grossa delusione, che porterà alla loro separazione.

Per fuggire alle persecuzioni naziste, Hans viene mandato negli Stati Uniti da alcuni parenti, dove potrà andare liberamente all’università; mentre i suoi genitori, rimasti a Stoccarda ed esasperati dal clima di persecuzione, si suicidano.

Gli anni passano, Hans vive ormai da trent’anni in America dove è perfettamente inserito, ed esercita la professione di avvocato. Il passato però riaffiora continuamente, così come il volto del suo amico e il rimpianto per quella che avrebbe potuto essere una vita diversa.

Finché un giorno Hans Schwarz riceve una lettera dal suo vecchio liceo, con una richiesta di fondi. L’intenzione è quella di erigere un monumento a tutti quegli studenti che in seguito sono morti in guerra. Allegato alla missiva, c’è un elenco coi nomi dei caduti.

In principio Hans non vuole vedere: teme di trovare fra quei nominativi anche quello dell’amico di un tempo. Ma poi, con un atto di coraggio, scorre l’elenco e…lo trova. Konradin von Hohenfels, che a suo tempo aveva confessato ad Hans di avere fiducia in Hitler, spezzandogli il cuore, è stato giustiziato per avere partecipato ad un complotto atto ad uccidere Hitler stesso.

Allora, quando l’ho letto la prima volta, ero solo una bambina, e non potevo comprendere appieno in che modo questo amico, separato all’età di diciassette anni e mai più rivisto, potesse essere stato “ritrovato”. Adesso lo comprendo quell’abbraccio ideale nel suo cuore, quel riscatto che fa da catarsi. Ora capisco come si possa accogliere la morte di un amico con commozione assoluta.

“L’amico ritrovato” è un’opera scritta in maniera magistrale, che si legge velocemente. Novanta pagine che scivolano via, perché evocative e mai pesanti. Sul fatto che sia un capolavoro che tutti dovrebbero leggere non ci sono dubbi.

Rileggendolo in età adulta, forse si rimane un po’ delusi dal fatto che sia un romanzo sull’amicizia, e invece l’amico gli abbia praticamente voltato le spalle. Ma non è forse questo che si fa da ragazzi? Si combatte sempre dalla parte sbagliata e si lasciano andare le cose più belle.

Questo romanzo insegna però che non è mai troppo tardi per ricredersi e ritrovare – anche solo idealmente – le persone che ci sono state care.

Written by Cristina Biolcati


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