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L’(a)moralità del Mostro: Dexter Morgan

Creato il 18 aprile 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Postato il aprile 18, 2012 | CINEMA | Autore: Loredana Aiello

L’(a)moralità del Mostro: Dexter MorganÈ sufficiente pronunciare il nome “Dexter” per visualizzare il sinistro, ma estremamente affascinante, volto di Michael C. Hall, pluripremiato attore, già noto al grande pubblico nei panni dello scialbo David Fisher in Six Feet Under. L’origine del personaggio ha radici più profonde, ma non abbastanza da arrivare al Dexter di Tartakovsky nel lontano 1996! Si parte dal 2004: Jeff Lindsay, pseudonimo di Jeffrey P. Freundlich (1952) pubblica il suo romanzo di maggior successo, Darkly Dreaming Dexter. Nello stesso anno il libro viene pubblicato in Italia dalla casa editrice Sonzogno col titolo La mano sinistra di Dio. Nel 2006 Dexter diventa una serie televisiva messa in onda dal canale statunitense Showtime; l’Italia ne avrà notizia l’anno successivo in pay-tv e nel 2008 nella tv in chiaro. Infine, è il 2009 quando Darkly Dreaming Dexter edito da Il Giallo Mondadori diventa, nella traduzione di Andrea Carlo Cappi, Dexter il vendicatore. Da queste prime date, il “tranquillo” ematologo di Miami, frutto della penna di Lindsay, ha fatto molta strada, arrivando in America alla settima stagione televisiva. Ma è meglio fare un passo per volta. Conoscevo già la serie Dexter e ho per questo motivo deciso di acquistare il best seller dello statunitense Linsday, spinta dalla convinzione che qualunque prodotto tratto da un libro fosse il più delle volte una editio minor dell’originale.

L’(a)moralità del Mostro: Dexter Morgan

La trama di Dexter il vendicatore è molto simile a quella di Dexter, ma il risultato finale delle due versioni diverge molto nella resa psicologica dei personaggi e dalle implicazioni prodotte dalle diverse conclusioni in vista della prosecuzione sia filmica sia letteraria. Dexter Morgan è un agente della scientifica di Miami, un ematologo, che a causa di un violento trauma infantile, conduce una doppia vita: insospettabile quanto puntiglioso tecnico in campo professionale, spietato serial killer nel tempo libero. Fin qui niente di più di un deprecabile – e alquanto banale – assassino. Ciò che rende affascinante il personaggio è il suo codice di comportamento: il cosiddetto “Codice di Harry”. L’agente Harry Morgan è il (defunto) padre adottivo di Dexter; resosi conto delle attitudini violente del piccolo Dexter, rivolse le sue attenzioni pedagogiche ad un’educazione alternativa, affinché le pulsioni criminali del figliastro – impossibili da estirpare – fossero canalizzate verso vittime meritorie di tali attenzioni: assassini o individui particolarmente malvagi.

L’(a)moralità del Mostro: Dexter Morgan

Come da manuale, il profilo psicologico del protagonista risulta quello di un solitario, estremamente ordinato, metodico e risoluto. Gestisce in maniera eccellente il suo segreto, il suo “Passeggero Oscuro”. Si cala perfettamente nei panni di buon fratellastro maggiore per Deborah (Debra nella serie) e di fidanzato affidabile per la fragile Rita. Conquista la fiducia delle persone grazie ad espedienti tanto scontati quanto vincenti: aspetto curato, sorriso sulle labbra e vaste elargizioni di colazioni gratuite. L’uso dell’analessi e del flashback nelle rispettive opere rendono nota al lettore – spettatore la vicenda biografica di Dexter: le cause prime della «lucida psicopatia» che lo distingue dai “normali”, il suo fittizio relazionarsi agli altri, il modus operandi del killer seriale. La prima persona in cui è scritto il romanzo viene tradotta, nella serie, in un’avvincente voce fuori campo: una continua egolalìa che ha per scopo l’immersione totale del fruitore all’interno della mente criminale del protagonista. Obiettivo raggiunto: è molto facile immedesimarsi in Dexter. Questo personaggio possiede i caratteri del super uomo: intelligenza, precisione, infallibilità, intuizione. Anche da un punto di vista fisico il suo status lo rende un privilegiato: corpo atletico, fascino, voracità (legata anche al concetto di predatore insaziabile di uomini) e metabolismo invidiabile.

L’(a)moralità del Mostro: Dexter Morgan

A partire dalla figura di Dexter avviene però qualche frizione tra romanzo e serie. Linsday orienta la sua crime story su un onirismo molto spinto, che cresce lungo la lettura e finisce addirittura nella perdita del contatto con la realtà da parte di Dexter. Nelle ultime pagine, il lucido vendicatore descritto precedentemente, non è più sicuro delle azioni da lui commesse, confonde sogno e realtà, cade in lapsus freudiani da pivellino. Inoltre, le considerazioni sul lavoro d’indagine svolto dalla detective della polizia di Miami, Migdia LaGuerta (Maria LaGuerta nel telefilm), cedono spesso a volgarità del tutto sconosciute al Dexter Morgan interpretato da Michael C. Hall. Il turpiloquio da parte di un Morgan, nella serie televisiva, è prerogativa della sola Debra (Jennifer Carpenter). Lo scrittore descrive una Deborah caratterizzata da un’insita insicurezza mal celata dal linguaggio scurrile; la sua carriera nella Polizia di Miami è spesso compromessa anche dalle fattezze che, per credibilità, la avvicinano più ad una Barbie che ad un poliziotto. Il suo avanzamento di carriera (dalla Buoncostume alla Omicidi) è dovuto più ai suggerimenti e alle manipolazioni del fratellastro che a reali meriti investigativi.

L’(a)moralità del Mostro: Dexter Morgan

Sempre scurrile, ma decisamente opposta, la Debra versione tv: un “maschiaccio” dal fiuto infallibile, capace di mettere talvolta il bastone tra le ruote alle losche macchinazioni del fratello. Il romanzo si chiude con la rivelazione dell’oscuro segreto di Dexter, un funerale e la promessa di un omicidio che lasciano le porte aperte (meglio: spalancate) ad una prosecuzione delle vicende del suo protagonista. La dodicesima e ultima puntata della serie, Nato Libero, è perfettamente conclusa in tutte le vicende precedentemente aperte: la prima stagione di Dexter è un “prodotto finito”, assolutamente indipendente, libero da questioni in sospeso. Questa completezza potrebbe già bastare per valutare la superiorità intrinseca della serie diretta da Michael Cuesta (la maggior parte delle puntate). Esistono anche altre motivazioni. Il pilot (privo della bellissima sigla che già da sola è un piccolo capolavoro espressionistico) arriva nella narrazione di Lindsay a circa due terzi di Dexter il vendicatore. È facilmente intuibile che le restanti undici ore di visione approfondiscano e arricchiscano tutto il racconto cartaceo, donandogli dettagli macabri e sfiziosi con la ricchezza di un piano denotativo che attraverso le immagini acquista tutt’altra forza.

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