Tecla, ancora per noi.
Ci sono momenti in cui si deve crescere. Martin Gore sa dall’inizio in Somebody – il pezzo risale al 1984 – cosa vorrebbe e come dovrebbe essere. Un ideale. Di compagno. Che la pensa diversamente, ma che sa arrampicarsi su per i pori del suo disagio (shake the disease) e comprenderlo.
Parte. Si sente un treno in sottofondo all’inizio della canzone. Quante volte ognuno di noi ha ascoltato queste parole. Nel proprio cuore. Che ogni sofferenza e ogni lacrima servono a riempire quell’immenso che è la nostra anima. Quasi fosse un vaso di Pandora. Che ognuno di noi sente di meritare un pezzetto di felicità. Perché crede di aver fatto la propria parte con tutte le piaghe e le sofferenze che che si porta dietro. E Dave in questo è maestro. Anzi Guru.
Ma non è così perché oggi (e di anni ne sono passati molti) quel somebody resta ancora indefinito, nella solitudine di cittadino globale nella quale ci ritroviamo a vivere. Le sofferenze e i disagi (shake the disease) che proviamo sono dispersi e diffusi.
Dalla torre antica dei social networks immaginiamo mondi sconosciuti che celano sofferenze molto profonde. E questo è wrong. Ci fa sentire sbagliati. E lo e’. Che la verità è lontana dalle foto anticate di Instangram. Che nessuno potrà dirti se quell’umore che immagini mentre chatti con uno sconosciuto senza volto sia reale. Fino a quando non lo toccherai, fin quando non palperai quello che è solo un ologramma, fino a sentire, nella mente e nel cuore. Fin quando non guarderai negli occhi una realtà tridimensionale e scorgerai quella fossetta nella guancia e quello strano modo di toccarsi i capelli.
Proverai solo a sentire I feel You…. E – inevitabilmente – ti ritrarrai in un silenzio (enjoy the silence) che ti lascerà l’amaro in bocca. Perchè è davvero raro che realtà e finzione coincidano. Di poter godere stando davvero stripped into the trees…Potrai fare un bel canc della cache della tua anima e prendere strade nuove. Più d’una. Insieme. Per non soffrire… per far finta di tremare (I’m shaking) … Just for One day
E riuscire ad essere ancora estremamente gentile e disponibile con tutti: perfetta interprete di Stand by my side and give me support…Generosamente. Rendendoti un eterno tiro al bersaglio.
Probabilmente apparendo come quei poveri cani randagi che aspettano che qualcuno tiri loro un osso. Abbandonati a se stessi vagano nel nulla pronti ad attaccarsi a chi fa loro una carezza.
Perchè il fatto – non taciuto – di aver sofferto molto instrada sul tuo cammino persone nella condizione mentale di potertistrapazzare un po’ come fossi una perfect slave da possedere in your room where soul disappear e poi riprendere la via di casa.
Perché si è solo falsamente aperti al mondo … Mentre lo si ignora.
Non scambio di liquidi. Ma concessione totale se si crede. In quell’istante. For a few hours. Di essere connessi. Di essere a casa.. and my kingdom comes.
E questa capacità innata di far aprire le persone, di permettere loro di fidarsi fa prendere tutte le controindicazioni del caso. Sapere di essere un granello di sabbia passato al setaccio tra grandi numeri graffia l’anima. Gli eterni Peter Pan alla ricerca di uno Strangelove dovrebbero capire che se si incontra la verità e si ha l’opportunita’ di hear and cry just for me è tempo di fermarsi e pensarci su. Che anche se certe cose non sono plateali si percepiscono comunque. Tra le righe. Per chi ha branchie per sentire. E quindi è meglio provare a mettersi nei panni altrui (just walking in my shoes) prima di ferire qualcuno. Che non si è tutti uguali. Muti. Immobili.
Pensare di essere importante (s)he will understand me in mani che devono saper fare mille e più cose. Stare. Nel fare l’amore come adolescenti che annusano un luogo sconosciuto dove ci si sente a casa. Over and over. Stare nel voler crescere anche se si è già grandi lasciandosi prendere per mano endlessly
Ma dopo tutto questo tempo se davvero si vedono le cose in a different light è tempo di stare svegli abbracciati a qualcuno. Per tornare a casa (take me back home). Davvero.