David Fincher è un tizio con cui ho molti problemi. Nulla di personale che non possiamo chiarire davanti a una bella birra (o almeno, una Coca-cola, dato che le bevute alcoliche non hanno mai fatto per me), eppure la questione rimane aperta. Oddio, ci sarebbero alcuni che avrebbero da obiettare che in realtà di problemi ne ho davvero tanti, dato che io sono quello che riesce ad apprezzare Snyder. Però, per quanto mi sforzi ed abbia visionato tutte le sue pellicole, nessuna esclusa, non riesco ad essere un entusiastico ammiratore di questo regista, pur riconoscendo che sia un tecnico eccellente. Forse uno dei migliori in circolazione. Eppure i suoi film non riescono proprio a emozionarmi, mi prendono solo fino a un certo punto e poi mi lasciano lì, senza darmi quella scossa che magari mi aspetterei da dei rinomati capolavori del settore. Un po' come fare un preliminare eterno. Piacevole all'inizio, ma poi cominci a esserne un poco infastidito. E proprio per questo non attendevo con tutta questa smania un film come Gone girl, tratto dall'ennesimo libro che non ho letto, eppure, come tutti gli altri, ho voluto vederlo. Anche perché sentivo che a pelle ci sarebbe stata quella scossa che tanto attendevo, quel titolo in grado di farmi apprezzare pienamente questo regista, ex tecnico degli effetti speciali, in modo che alla fine potessi lanciarmi in un entusiastico rido di giubilo insieme al resto della comunità blogger.
Nick e Amy Dunne sono sposati. Il giorno del loro quinto anniversario, però, lei scompare. La polizia si mette sulle sue tracce, ma ci sono dei punti che non tornano. E' stata davvero rapita? Nick è davvero il marito amorevole che dice di essere?
Non sembrava possibile, ma alla fine il buon Davidino ce l'ha fatta. Un film bello, molto bello, finora il suo lavoro che mi ha convinto maggiormente, anche se non esente da difetti e da quell'alone di incertezza che mi ha impedito di amarlo appieno - ma qui entriamo nella sfera personale e non critica, quindi prendete questa affermazione per quello che vale. Innanzitutto possiamo dire che la trama intriga, che è perfettamente costruita e, come nella miglior tradizione, cosa che non mi stancherò mai di ripetere, il genere d'appartenenza non è un fine ma un tramite. Infatti non ci si concentra unicamente sull'indagine in corso, il punto meno interessante dell'intera pellicola, d'altronde, ma sulla psicologia dei due elementi coinvolti, che porterà all'esito finale e all'incredibile colpo di scena che ci colpirà a metà film. Perché c'è da stupirsi molto, ci sono tre parabole circoscritte e che racchiudono i tre discorsi cardine dell'intero film. La prima parte, dedicata alla scoperta della scomparsa e alla ricostruzione delle due versioni, si occupa a delineare lo spettro psicologico dei due protagonisti, specialmente del marito. Nick non è un uomo perfetto, è un americano medio che in alcuni punti riesce anche a rendersi persino odioso, ma è proprio questo a renderlo così umano e vicino a una sofferenza comune che tutti potrebbero provare. Da questo punto di vista, quindi, solo grandi meriti, per aver delineato senza mai strafare una personalità borderline che, almeno fino al primo colpo di scena, non sapremo mai come classificare. Colpevole o no? Vittima o carnefice? Tutte domande che di sicuro attanaglieranno ogni spettatore e che, nella seconda parte, troveranno una conferma: forse non si sa chi è la vera vittima, ma di sicuro possiamo identificare i predatori, quelli più feroci, ironicamente quelli che vediamo tutti i giorni e che, beffa massima, sono resi pubblicamente accettabili: i media. Il punto due del film infatti, proprio quando il grosso sembra fatto, è tutto dedicato a come i media trattano il caso dei Dunne, fra persone che istigano alla pena di morte e folle inferocite che lanciano i peggiori insulti. Personalmente mi ha fatto molto pensare alla nostra realtà di tutti i giorni, a come i telegiornali ci bombardino quotidianamente di notizie e di fatti ormai conosciuti da tutti, gettando benzina su un fuoco ormai già ampio ma del quale il pubblico non sembra avere mai abbastanza. A lungo andare sembra proprio quello il vero orrore di tutta l'intera vicenda e il presunto femminicidio sembra un'ipotesi molto meno spaventosa. Ma è proprio in questa seconda parte che tutto inizia a incrinarsi un attimo, proprio per via di quel famigerato colpo di scena che, per quanto efficace e ottimamente descritto, lascia diversi vuoti a livello concettuale che non ti fa apprezzare appieno una storia davvero malata e, forse proprio per questo, davvero godibile. Fincher però ce la mette tutta, usa il suo stile registico eccelso e senza un calo per imbastire una storia che decisamente ha presa, ma certi passaggi della trama non riescono proprio a convincere del tutto. Ci vuole una grande mente malata per orchestrare tutto quello, ma sono proprio i presupposti filosofici che non convincono appieno, e lasciano perplessi in un paio di micro-punti. Complice anche la recitazione di Ben Affleck, che dovrebbe stare dietro la macchina da presa (seriamente, penso che col tempo possa diventare davvero un grande regista!) e non davanti, perché come attore proprio non riesco a trovarlo capace. Si fa rubare la scena persino da Neil Patrick Harris, che magari doveva farsi perdonare la sua partecipazione a Un milione di modi di morire nel West, coinvolto in un ruolo per lui inedito e che ne valorizza le capacità attoriali nonostante la breve durata.
La terza parte però, quella dedicata alla risoluzione e alla reale scoperta di sé, sempre sotto l'occhio dei media onnipresenti, purtroppo è quella che colpisce meno e lascia un punto che ho trovato davvero brutto. Ma ci regala un finale cupissimo e che sembra precludere ogni felicità. Forse però sta in tutto questo pessimismo il bello. Non può esserci felicità quando si (s)copre la vera realtà delle cose, ovvero che non si può mai conoscere a fondo nessuno. Siamo tutti sconosciuti gli uni agli altri. Forse è proprio per questo che nessuno scompare veramente, poiché siamo già isole separate in partenza. Non è un messaggio felice, ma è la realtà.Finora il film di Fincher che, pur coi suoi soliti elementi che non riescono mai a convincermi appieno, mi è piaciuto di più. Ma qui il problema forse è unicamente mio.
Voto: ★★★ ½