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Detto questo, c'è da aggiungere che nell'adattamento diretto da David Fincher del romanzo di Gillian Flynn, lo spaccato thriller, seppur nodale e strepitoso, non è poi così importante come quello che gli gravita attorno, ovvero un matrimonio in crisi dove a rotazione moglie e marito si incolpano, scambiandosi il ruolo di vittima e di carnefice e procurandosi del male a vicenda. Eppure per comprendere veramente il ruolo e le intenzioni di "L'Amore Bugiardo: Gone Girl" non si può prescindere dal prendere in esame il ruolo della finzione, una finzione che sicuramente conoscevamo già prima, ma che ultimamente abbiamo imparato a conoscere ancor più da vicino. Una finzione che utilizziamo per apparire migliori e che, se messa al servizio della televisione, può spostare notevolmente anche il parere dell'opinione pubblica.
Fincher allora non ci pensa due volte a sfruttare la qualità incredibile del materiale che ha a disposizione, per realizzare con grande maestria ed esperienza una pellicola tesa e straordinaria, da cui è praticamente impossibile distrarsi e non lasciarsi travolgere. Il caso di sparizione con cui apre le porte gli da la chiave per raccontare la figura di una donna complicata (o stronza, come vien detto) ed enigmatica (una Rosamund Pike fantastica), che vorrebbe mantenere il proprio giogo sugli uomini - che lei stessa sceglie e seleziona - per sfuggire ai cliché della coppia e restare sulle onde dell'entusiasmo e della finzione. Elemento che ritorna, appunto, come qualcosa di esistente e non permanente di cui però non si può fare a meno, allo stesso modo di come sono esistenti e non permanenti lo charme e l'attrazione di un uomo travolto dalla passione, che tuttavia è destinata a scemare annacquata dal tempo e dagli anni di matrimonio messi alle spalle. Eppure, mantenere viva la finzione, secondo "L'Amore Bugiardo: Gone Girl" è l'unica via d'uscita, l'unica possibilità di salvare due vite gravemente compromesse e il solo meccanismo che può far funzionare una relazione, nonché lo scettro con cui addomesticare migliaia di spettatori impazziti che non aspettano altro che appassionarsi e rispecchiarsi schizofrenicamente in problemi che non li riguardano da vicino, ma che (a volte) li fanno sentire migliori.
Nel profondo di tutto questo Fincher inserisce allora le sue sensazioni, la sua opinione rispetto a un sistema sbagliato che può inghiottire senza chiedere il permesso e dove reclamare l'espulsione non sempre può esser cosa vantaggiosa e pratica. Per farlo usa a malincuore la vita del Nick di Ben Affleck, masticata in mille pezzi al punto da non esser più riassemblabile altrove e di proprietà di tutti tranne che del suo legittimo proprietario, costretto a sottostare a un epilogo terrificante con cui fare il callo lungo il corso della vita.
Trascinato da una durezza che non gli è mai mancata e da una sceneggiatura scritta a regola d'arte (sempre dalla Flynn), stracolma di indizi alla "Seven" e di atmosfere torbide alla "Zodiac", Fincher si ritrova così ad tirare i fili una pellicola dagli automatismi conosciuti e che ormai sa manipolare a proprio piacimento e desiderio. Da essa estrae un contenuto eccellente, di denuncia, attacco e raro spessore, con cui elegantemente incanta, seduce e conquista.
Un'altro capolavoro, insomma, di cui immediatamente ci si innamora e si percepisce di non poterne fare più a meno.
Trailer:
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