“È già tanto tempo che non le scrivo, signora Milena, e anche oggi Le scrivo soltanto per caso. Non dovrei neanche scusarmi se non scrivo: Lei sa come odio le lettere. Tutta l’ infelicità della mia vita – e con ciò non voglio lagnarmi, ma soltanto fare una constatazione universalmente istruttiva – proviene, se vogliamo, dalle lettere o dalla possibilità di scrivere lettere.
Gli uomini non mi hanno forse mai ingannato, le lettere invece sempre, e precisamente non quelle altrui, ma le mie. Nel caso mio si tratta di una disgrazia particolare, della quale non voglio dire altro, ma nello stesso tempo anche di una disgrazia generale.
La facilità di scrivere lettere – considerata puramente in teoria- deve aver portato nel mondo uno spaventevole scompiglio delle anime. È infatti un contatto fra fantasmi, e non solo col fantasma del destinatario, ma anche col proprio, che si sviluppa tra le mani nella lettera che stiamo scrivendo, o magari in una successione di lettere, dove l’una conferma l’altra e ad essa può appellarsi per testimonianza. Come sarà nata mai l’idea che gli uomini possano mettersi in contatto fra loro attraverso le lettere? A una creatura umana distante si può pensare e si può afferrare una creatura umana vicina. Tutto il resto sorpassa le forze umane.”
Franz Kafka
La corrispondenza tra Franz Kafka e Milena Jesenská, scrittrice e traduttrice in ceco di molti dei suoi racconti, ebbe inizio nel 1920. Afflitto dalla tubercolosi e da una vita emotivamente difficile, l’amore per Milena fu l’ultimo episodio della vita tormentata di Kafka, che sarebbe morto appena quattro anni più tardi legato ad un’altra donna. La loro storia partì con pessimi auspici (lui era fidanzato da molti anni, lei già sposata) e la loro storia si mantenne a lungo puramente epistolare.
È probabile che per Kafka, che per tutta la vita aveva sofferto di problemi di salute, disturbi alimentari, difficoltà nel mostrare il proprio corpo ed evidenti problemi nei confronti della sessualità, la relazione con Milena fu struggente e appassionata proprio perché a distanza, ed ebbe modo di trascendere, per la maggior parte della storia, la parte fisica della loro relazione. Dall’altro, la distanza potrebbe averlo portato ad idealizzare in maniera effettiva la figura di Milena, proprio perché così distante, profonda e altrettanto innamorata.
Leggendo le lettere dei due amanti si vede un Kafka appassionato, distante dall’ossessione del ripudio per il contatto fisico che lo aveva contraddistinto per quasi tutta la vita.
“Ora penso soltanto alla mia malattia e alla mia salute, e l’una e l’altra, è vero, la prima come la seconda, sei tu.”
“Questo incrociarsi di lettere deve cessare, Milena, ci fanno impazzire, non si ricorda che cosa si è scritto, a che cosa si riceve risposta e, comunque sia, si trema sempre.”
“Ti vedo china sul lavoro, il collo libero, io sto dietro a te, tu non lo sai – non spaventarti se senti le mie labbra sul collo, non volevo baciarti, è soltanto amore impacciato.”
“Sono stanco, non so nulla e non vorrei che posare il viso nel tuo grembo, sentire la tua mano sul mio capo e rimanere così per tutte le eternità.”
“E poi c’è la lettera della notte, non si capisce come la si possa leggere, non si capisce come il petto possa allargarsi abbastanza e contrarsi per respirare quest’aria, non si capisce come si possa essere lontano da te.”
Milena Jesenská
Di solito, quando si tratta di lettere e diari degli scrittori, si nota un linguaggio diverso rispetto alle loro stesse opere. Ci sono appunti, incertezze, aspetti puramente umani e comuni di chi è in grado di dividere la propria vita dalla propria narrazione. Per Kafka non è così: le lettere e i diari erano scritti allo stesso modo dei racconti e i romanzi, immettendo la sua idea del mondo senza filtri in ogni caso – e rendendoli, in tal modo, veri e propri discorsi d’arte comparabili alle visioni dei lavori narrativi.
Nel caso specifico di Kafka le lettere e i diari sono il modo più efficace per comprendere la vita interiore dello scrittore, snodare le sue problematiche psicologiche e comprendere i suoi difficili rapporti con gli altri esseri umani e con la propria stessa opera. Tutto questo è soggetto ad un’interpretazione personale di chi legge, perché una risposta chiara non è mai arrivata. Kafka, infatti, aveva chiesto in punto di morte all’amico Max Brod di distruggere tutti i suoi scritti ed è stato solo grazie al “tradimento” di Brod se noi possiamo godere per intero del suo lavoro.
È davvero molto difficile apprezzare le opere, i diari e le lettere di un autore pur rendendosi conto di fargli una violenza leggendo la sua parte più intima e profonda. Tuttavia trovo indispensabile la lettura delle Lettere di Kafka.
Penso che la sua poetica e il suo amore per Milena, così pieno di dubbi e incertezze, così intenso e sofferente, sia l’anello di congiunzione fra l’ascesi dell’artista e il suo aspetto più vulnerabile, schiacciato dalla propria impotenza verso la consapevolezza di un’inevitabile infelicità e il bisogno di vivere, ancora e ancora, ciò che causerà per sempre quell’infelicità. Nonostante Kafka non volesse che fossero lette, le sue confessioni sono quanto più si avvicina alla comprensione dell’amore, di quanto rende fragili, e di quanto sia impossibile resistergli.
“Credo Milena, che noi due abbiamo una particolarità in comune: siamo tanto timidi e ansiosi, quasi ogni lettera è diversa, quasi ciascuna si spaventa della precedente e, più ancora, della risposta. Lei non lo è per natura, lo si vede facilmente, e io, forse, nemmeno io lo sono per natura, ma ciò è quasi diventato natura, e si dilegua soltanto nella disperazione, tutt’al più nell’ira e, da non dimenticare, nell’angoscia.”
“Ciò che accade è per me qualcosa di mostruoso, il mio mondo crolla, il mio mondo risorge, vedi come tu (questo tu sono io) ne possa dare buona prova. Non mi lagno del crollo, il mondo stava crollando, mi lagno del suo ricostruirsi, mi lagno delle mie deboli forze, mi lagno del venire al mondo, mi lagno della luce del sole.”
“Sporco sono, perciò faccio un tal strepito per la purezza. Nessuno canta così puramente come coloro che si trovano nel più profondo inferno. È il loro canto che scambiamo per il canto degli angeli.”
Quanto l’amore ci porta a capire di noi stessi? Quanto la ricerca del sé resta incompleta senza l’altro? Nella visione individualista del mondo moderno sembra inconcepibile pensare che la affermazione del sé possa avvenire tramite l’altro. Ma l’essere umano È l’altro: ogni interazione ci colpisce e ci influenza più di quanto possiamo concepire. Cresciamo in base agli insegnamenti dell’Altro, su misura della società creata dall’Altro, e non ci si deve stupire all’idea che anche nell’amore ci siano le basi per ritrovarsi.
Oggi, almeno nell’ambito artistico medio, l’affidarsi all’amore è visto come una debolezza e ogni intuizione vissuta sotto la sua luce è giudicata contaminata e poco affidabile. Nella visione dell’artista contemporaneo o aspirante tale l’amore si insegue ma non si vive, perché il vero motore dell’arte è la sofferenza – l’inseguire la completezza, non il raggiungerla. L’amore è debolezza e al tempo stesso assoluta forza, ma non quando soddisfa e appaga e, quindi, distrugge la creatività. L’amore ideale per l’artista moderno è l’amore non corrisposto, l’assoluta solitudine e l’indipendenza creativa.
Nelle sue Lettere, invece, Kafka ama ed è ricambiato, ma la sua sofferenza è immensa e definitiva. Lui è il suo stesso tormento, e c’è da chiedersi se non fosse proprio l’impossibilità della storia con Milena ad attrarlo, o se gli fosse capitato per caso, senza scampo. Non c’è modo di saperlo davvero, ma trovo questa sua opera in particolare una lettura indispensabile per il suo modo di definire l’amore, l’umanità e l’incredibile forza distruttiva che possono scatenare questi due elementi messi insieme.
“L’imperfezione solitaria la si deve sopportare in ogni momento, l’imperfezione in due non si è costretti a sopportarla. Non abbiamo forse gli occhi per strapparceli e il cuore per il medesimo scopo? Eppure non è poi così grave, questa è esagerazione e menzogna, tutto è esagerazione, soltanto la nostalgia è vera, non la si può esagerare. Ma perfino la verità della nostalgia non è tanto sua verità quanto piuttosto l’espressione della menzogna di tutto il resto.
Sembra un’idea bislacca, ma è così.
E forse non è vero amore se dico che tu mi sei la cosa più cara; amore è il fatto che tu sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso.”
(Citazione erroneamente attribuita a David Grossman)
Daniela Montella