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L’amore no

Creato il 20 marzo 2014 da Cultura Salentina

L’amore no

20 marzo 2014 di Titti De Simeis

di Titti De Simeis

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È il peccato più imperdonabile che l’uomo abbia mai inventato. L’uomo, creatore invincibile di ogni sicurezza, trema dinanzi a una forza che lo intimorisce e lo annienta. Quella dei sentimenti. E li allontana.

Una paura che nasce dalla paura, dal timore di non saper gestire, razionalmente, le emozioni.

Ci si sente al sicuro, al riparo, come eternamente dietro ad un ombrello, a prescindere che piova o no.

Così si spreca il tempo. Ma non è facile da spiegare a chi con l’amore non sa più parlare.

E si vede gente seminare i suoi confini spazio-mentali con la parola ‘libertà’, che finisce col divenire un baluardo di difesa, di giustificazione senza verità. O predicare, quasi convinta, che si sta benissimo da soli, che siamo tutti soli, e che esser solo è una condizione naturale in cui tutto è possibile perché, in realtà, non si ha bisogno di nessuno.

Altri eleggono gli animali ‘migliori degli uomini’ e trasportano su di loro ogni affettività, espansività, bisogno viscerale di contatto, di calore, di vita. Negando, irrazionalmente, la naturalezza insostituibile dell’affettività umana. Perché un animale non può tradire e questo rassicura il cuore, lo fa battere più lentamente.

‘Non voglio più soffrire’: è l’eredità di chi si è visto devastare il passato da tornado di delusioni. E ci sta anche questo. Perché di botte prese è pieno il mondo. E si diventa sgradevoli, irascibili, stizzosi finendo con l’allontanare, pian piano, tutti.

Ci isoliamo, in un ‘diversamente vivi’. E cuociamo nella rabbia che si alimenta con altra rabbia per un desiderio che rimarrà inesausto, per nostra stessa causa.

È come privarsi di un boccone delizioso, di una giornata di sole, di un viaggio di bellezza, di una lettura coinvolgente, di una carezza indispensabile. Sì, ci neghiamo una carezza per paura di un graffio, di una cicatrice o di un pentimento.

E allora perché rimuginiamo solitudine, perché rivendichiamo spazi vuoti che nessuno riesce a colmare, insomma, perché fingiamo di stare bene? Non stiamo bene e ci manca il coraggio di ammetterlo. Viviamo a metà e non troviamo la forza di smettere. Urliamo senza voce per paura di essere sentiti e mastichiamo bugie per timore di restare svelati. Finiamo col diventare repressi, ci aggrappiamo alla nostra autonomia per non vacillare, per convincerci della preziosità di non avere nessuno a fianco. Tutte facce nascoste di un’apparente benessere che lascia, lentamente, spazio al rancore, inspiegabile nemico che sconfigge ogni lacrima e ci inaridisce, senza ritorno. Come a voler ‘vendicare’ una solitudine ricercata e detestabile, di cui diamo la colpa a chi ci ha fatto male, costringendoci a quella scelta, inevitabile ormai.

Dai! Cerchiamo altri sguardi, altri respiri, corriamo il rischio di un’apnea, di una storta, di un abbaglio! Abbiamo inventato un mondo alternativo, una realtà virtuale, un silenzio fatto di tastiere e touch screen, di telecomandi da dimenticare sotto le coperte e cercarli la sera dopo. Case fatte di gatti che avvolgono i nostri piedi, di pitoni che albergano le nostre librerie, di pappagalli che ci danno il buongiorno, di cani da abbracciare la notte.

Ma i nostri simili non abbaiano, non vivono sui trespoli, non abitano gabbiette di giunco. Parlano, come noi, sorridono, abbracciano, ascoltano, desiderano, sbagliano, piangono, rimpiangono, hanno paura. Come noi, che abbiamo paura di loro.

Siamo arrivati a questo. A rinnegarci per paura di amarci. A rimpiangerci per paura di averci. Senza rimorso, per paura di pentircene.

E compiamo il peccato più grande per paura di non perdonarci.


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