Sono andata a vedere il film Carol di Todd Haynes (Lontano dal paradiso, Mildred Pierce) che, lo dico subito, non mi è piaciuto in modo particolare. Indipendentemente dal romanzo omonimo di Patricia Highsmith da cui è tratto, non mi ha affascinato e mi ha fatto ripensare con nostalgia al bellissimo libro facendo continui confronti, cosa sbagliata che non si dovrebbe mai fare, lo so benissimo. Ma tant'è. Bravissime le protagoniste, Rooney Mara (graziosissima mescolanza di Keyra Knightley con - dio mi perdoni - Audrey Hepburn, alla fine) e l'antipatica Cate Blanchett, con i pompelmi nelle guance e il labbro superiore gessificato, inverosimile come trentenne per cui l'eccessiva differenza di età ne fa più una seduttrice che una donna in bilico. Il fatto che Therese sia fotografa invece che scenografa non cambia molto, ma il personaggio è molto semplificato e mancano quasi del tutto gli amici di contorno, l'ambiente newyorchese dei giovani arrivati dalla provincia, precari, ambiziosi, disposti a fare qualsiasi lavoro li porti più vicini alla realizzazione dei loro sogni, e così un po' tutto ciò che nel libro è importante ma esula dalla storia d'amore sparisce, in favore di un certo morbido decorativismo. Le scene di sesso esplicito mi sono parse superflue, ma con due attrici così capisco che si trattasse di una tentazione irresistibile. Comunque le critiche sono tutte positive, e dato il livello di quello che si vede in giro penso che valga la pen di andare a vederlo (ma ieri ho visto Star Wars: Il risveglio della Forza e mi è piaciuto infinitamente di più, mi sono divertita e basta).
E per la cronaca, il gesto finale manca.
Uno dei molti motivi per cui sono una sostenitrice sfegatata e un'utilizzatrice esclusiva di ebook, è che in formato digitale si possono scovare tantissimi libri che in libreria sono introvabili. Si sa che dopo tre mesi un libro sparisce dalle librerie, e siccome non sono appassionata di best seller e mi capita molto spesso di avere curiosità che riesco a soddisfare con poca spesa cercando in rete, è ormai rarissimo che intraprenda la lettura di un cartaceo. Questo romanzo di Patricia Highsmith (1921-1995), scrittrice che amo moltissimo e non mi ha ancora mai delusa, scritto nel 1949, è uscito nel 1952 negli Stati Uniti sotto lo pseudonimo di Claire Morgan; Bompiani lo ha ripubblicato nel 2007 con la traduzione di Hilia Brinis.
Therese, diciannovenne aspirante scenografa, vive a New York e per pagare affitto e pasti lavora come commessa avventizia in un grande magazzino. Non ha famiglia, è cresciuta in orfanotrofio, ma ha un quasi boy friend, Richard, e qualche amico. Un giorno, al lavoro, vede una cliente bionda, elegante, bellissima, e in un attimo ne è perdutamente affascinata, ossessionata. Con un atto di cortesia riesce a contattarla, e ne nasce un'insolita amicizia basata su un fortissimo interesse reciproco che all'inizio non si esprime ma poi si definisce come amore. Per Therese è la scoperta di se stessa, per Carol, trentenne, sposata e con una figlia, il riconoscimento e l'accettazione di un destino che passa attraverso il divorzio e il doloroso distacco dalla figlia.
Non succede molto altro nel romanzo, ma l'uscita di Therese come da una crisalide e il tormentato abbandono di Carol sono molto più affascinanti e appassionanti che una storia piena di colpi di scena. Uno dei molti meriti di questo bellissimo libro è il tono, caldo ma insieme oggettivo e distaccato, con cui è narrata una vicenda che avrebbe potuo facilmente sfiorare il melodramma o il patetico. I due personaggi principali sono perfetti, e anche quelli di contorno funzionano sempre. Malgrado abbia superato ampiamente i sessant'anni lo rende molto moderno la reticenza, non tanto dei fatti quanto delle parole con cui sono raccontati. Non c'è un particolare superfluo, i cambiamenti di Therese e di Carol si vedono nelle loro azioni, nei loro avvicinamenti e nelle fughe. La società attorno, il marito e il fidanzato, la giustizia umana, tutto cerca di separarle e dimostrare che il loro non è amore ma follia, e non può nemmeno esistere. Ma non ci sono né punizione né lacrime amare per Carol e Therese, e anche questo, oltre a essere bello e giusto, è molto coraggioso per i tempi e a modo suo rivoluzionario. Questo romanzo è l'unico in cui Patricia Highsmith affrontò tematiche di questo tipo.
Come bonus, Carol ci fa vivere per qualche ora in una New York fascinosissima, quella che abbiamo visto in tanti film in bianco e nero, dove donne bellissime in visone bevono drink sofisticati (e quanti ne bevono! a tutte le ore, a tutte le età) negli alberghi più alla moda di Manhattan. Dove i ricchi che abitano nelle periferie residenziali accompagnano in auto gli amici squattrinati nelle loro abitazioni di Manhattan. E il lungo viaggio in macchina delle due donne verso ovest ci fa sognare autostrade diritte che si perdono nel nulla, motel accoglienti e città torreggianti nel deserto. So che ne è stato tratto un film, forse non ancora uscito in Italia, e spero che abbiano conservato il finale che sembra fatto apposta per il cinema: una mano che si alza in un saluto da lontano, e in quel saluto c'è la gioia inaspettata, la promessa, il riconoscimento, l'accoglienza, la sicurezza dell'amore che si specchia.
Mi resta solo un dubbio, non è che quella che viene più volta nominata come Washington (a Salt Lake, Therese continua a chiedere a Carol: ma sei sempre dell'idea di andare fino a Washington? mentre si spingono sempre più verso la costa ovest) non è la città ma lo stato di Washington, quello di Seattle per intendersi?