(autoplagio n°6, dal defunto Lipesquisquit, post del 25 maggio 2010)
Ogni volta che leggo qualcosa di interessante che riguarda Immanuel Kant, io subisco inevitabilmente gli effetti psicotropi dell’Illuminismo, effetti che nella fattispecie mi si manifestano in interessanti visioni. Quello che succede è che, mentre leggo, ad un certo punto entro in quello stato di coscienza in cui si continua a leggere ma non si recepisce, o meglio, forse si recepisce pure, però il punto è che io non sono lì a recepire di persona, ho messo il pilota automatico al cervello e sono troppo preso a guardare il panorama fuori dal finestrino, panorama che consiste nella scena di me stesso che dormo in una stanzetta buia, Kant che arriva in punta di piedi con tutta la compostezza possibile, con i suoi riccioletti bianchi che fanno tanto 1700 e con un sottofondo di violini suonato non si sa da chi, sorridendo va verso la finestra, apre lentamente le persiane, poi sempre con eleganza e sobrietà si avvicina al mio letto, dà un delicato colpo di tosse per schiarirsi l’ugola, si mette le mani a megafono intorno alla bocca e infine, con la faccia da nerd spiritato, diretto nelle mie orecchie grida “SAPERE AAAAAAAUDE!”.
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