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L'Angolo di Matesi: "A PESCA NELLE POZZE PIU' PROFONDE"

Creato il 29 settembre 2015 da Blog

L'Angolo Matesi: PESCA NELLE POZZE PIU' PROFONDE


Teresa Siciliano nella sua rubrica ci propone l'analisi di un saggio sul racconto di Paolo Cognetti, un'opera che è utile agli scrittori ma piacevole anche per i lettori.


Quest’anno sono entrata a far parte del circolo di lettura, attivo presso la Ennio Flaiano, la biblioteca del mio quartiere. Mi sono ritrovata a leggere libri, in genere di piccole case editrici, non scelti da noi ma dalla direzione biblioteche di Roma, con scopi, secondo me, soprattutto pubblicitari.L'Angolo Matesi: PESCA NELLE POZZE PIU' PROFONDEFinora non è stata una grande esperienza e, proprio perché per varie ragioni ero in un momento di depressione, ho finito per prendere in prestito A pesca nelle pozze più profonde di Paolo Cognetti, attirata dal sottotitolo “Meditazioni sull’arte di scrivere racconti”. Speravo di non annoiarmi troppo, anche se la narrativa breve è un genere che per quasi tutta la mia vita non ho apprezzato affatto e che ho scoperto solo di recente. E invece con Cognetti mi si è aperto tutto un mondo e mi sono davvero entusiasmata.Che c’entra la pesca? È una metafora che l’autore usa per collegare la scrittura con monachesimo e yoga, cioè con riflessione e meditazione, partendo dal riferimento a In mezzo scorre il fiume di Norman Maclean, che per me vuol dire il film di Robert Redford.L'Angolo Matesi: PESCA NELLE POZZE PIU' PROFONDEÈ solo il punto di partenza per una carrellata sulla narrativa breve americana soprattutto del Novecento, che ha esercitato una grande influenza sul nostro autore, al punto che in tutto il libro non si nomina neppure un autore italiano. E dire che il nostro paese ha prodotto grandi scrittori di novelle e racconti, da Boccaccio fino a Pirandello e Tabucchi! Vi elenco quelli che conosco un po’: dopo Hawthorne, Poe e Melville, Anderson, Fitzgerald, Hemingway, Salinger, Carver, Munro, Wallace. Sono tanti? E ce ne sono altri che io non conosco per niente! E di tutti l’autore commenta almeno un racconto, spesso di più.Eppure è uno dei libri di critica letteraria più interessanti che abbia mai letto. Non sono in grado di rendergli giustizia, quindi accontentatevi di qualche spigolatura.Il racconto, si sostiene, non è solo una narrazione breve, ma anche incompleta: è qualcosa di intravisto, è un frammento di vita, è un iceberg dove la parte più importante si trova sotto il pelo dell’acqua, è un punto di domanda, è una finestra. Il suo aspetto più caratteristico è dire le cose nel modo più preciso e più breve possibile e lasciar fare il resto all’intuizione e alla sensibilità del lettore, che quindi per Cognetti svolge una funzione molto attiva nella fruizione dell’opera letteraria. Il resto, naturalmente, è quanto l’autore non ha voluto dire esplicitamente, ma solo suggerire.L’esemplificazione è molto ampia e a volte ho avuto il dubbio che nei testi citati non ci fosse tutta la profondità vista dall’autore. Che ce l’abbia aggiunta lui, insomma. Donde mi è venuta una gran voglia di andare a verificare attraverso la lettura diretta i testi americani citati, ma anche le opere letterarie di Cognetti stesso. Che è uno straordinario affabulatore, un po’ sul tipo del Baricco di Pickwick (particolarmente significativo, secondo me, il racconto “premonitore” su Hemingway, suo padre e il fucile). Tanto che alla fine il manuale di critica letteraria diventa addirittura un manuale di vita, valido anche per noi non-scrittori. Paradossalmente centrale una considerazione: “Ci sono cose che non si possono imparare dai libri, temo, specialmente quelle che si fanno con le mani, anche se non mi arresi ad ammetterlo fino alla fine della stagione della pesca”.A volte Cognetti sembra riallacciarsi a Virginia Woolf (che però non nomina) quando dice allo scrittore: ama i tuoi personaggi, non pensare di sapere tutto di loro, tramanda i ricordi della gente comune, racconta come se fossi il primo a farlo; la letteratura non nasce da ciò che sappiamo, ma da ciò che NON sappiamo.L'Angolo Matesi: PESCA NELLE POZZE PIU' PROFONDEIl libro si conclude con quattro racconti, nati in collegamento con la raccolta, sempre dell’autore, Sofia si veste sempre di nero, personaggio evidentemente a Cognetti molto caro. Confesso che questa sezione mi è piaciuta di meno. Probabilmente perché mi è mancato il commento penetrante dello scrittore. La mia capacità di intuizione dev’essere scarsina.Questa è la presentazione: “Ora Sofia vive in America da clandestina. Suo padre è morto da qualche anno, lei ha tagliato i ponti con l’Italia e si barcamena cercando di fare l’attrice a New York. A quanto pare sta con uno scrittore. L’America è per entrambi – per Sofia e per lui, ma potrei dire per me – non tanto una terra promessa, quanto quella in cui fare i conti con le proprie radici. Radici elettive ma non per questo meno profonde, se è vero che non veniamo solo dai nostri genitori, o dal luogo in cui siamo cresciuti, ma anche dalle storie che ci hanno insegnato a stare al mondo. Così Sofia scopre che New York è la città giusta per ripensare alla sua, di storia, e ripercorrerla a ritroso. E che l’America le appartiene come una patria reale, se le capita di leggere certi scrittori e ritrovarci dentro suo padre. La stessa cosa è successa a me e spero basti a spiegare non solo le dediche dei racconti, ma tutta l’America contenuta in questo libro.Insomma, non dobbiamo essere campanilisti e provinciali.E adesso abbiamo anche qualche argomento in più per rispondere a quelle recensioni che davanti a un racconto si lamentano perché non si tratta di un romanzo.
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