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Teresa Siciliano oggi ci parla di Linda Kent, scrittrice prolifica, matura e capace di rapire il lettore con i suoi personaggi positivi e le ambientazioni curate e precise.
Linda Kent ha pubblicato il primo libro all’inizio del 2013 e nei due anni trascorsi da allora, grazie a quattro romanzi e due racconti ufficiali, più qualche altro pubblicato sul web, sono individuabili ormai alcune sue caratteristiche essenziali.Innanzitutto l’autrice scrive solo romanzi storici e la sua documentazione è precisa e impeccabile: ad esempio, quando fa riferimento ad un Otello con Kean al Covent Garden nel 1828, abbiamo scoperto che aveva consultato il programma delle rappresentazioni di quell’anno e quindi lo spettacolo non era solo verosimile (cosa perfettamente accettabile nel genere), ma addirittura vero. Così, quando accenna ad una certa visita della principessa Victoria ancora bambina, potete mettere la mano sul fuoco che l’episodio è veramente avvenuto. Lo stesso vale per il carcere di Bodmin e l’efficace descrizione dei suoi metodi. E tutto ciò con molta leggerezza, senza pedanteria e lungaggini, come se niente fosse.Se il David del Profumo delle rose selvatichesi prestava a critiche, già a partire da Sole nella brughiera con John Russell il suo protagonista tipico è sempre un uomo superiore, soprattutto per quanto riguarda i principi morali e spesso anche le idee più progressiste: un vero eroe da romanzo, un uomo generoso, senza macchia e senza paura.Lo stesso vale per le figure femminili: per cui, se ci troviamo di fronte ad una ragazza sedotta e abbandonata, la Kent trova per lei una soluzione positiva, senza bisogno di un’improbabile conversione del seduttore in questione. Straordinaria la maturità stilistica: fin dall’inizio la scrittrice ha dimostrato ritmo narrativo e abilità nel collegare ed alternare scene e personaggi (solo sporadicamente anche con qualche elemento di tono favolistico, come nel caso della sua Thérèse) e soprattutto grande senso della sintesi, dote ai miei occhi molto pregevole, per cui i suoi romanzi non annoiano mai. Ciò spiega perché il vertice dell’eccellenza lo ha raggiunto, a mio parere, in due racconti, pubblicati per giunta a titolo gratuito. Sto parlando di Seta e di Fumo. Si tratta di prequel, sostanzialmente indipendenti, che però fanno da introduzione rispettivamente a Vento di Cornovaglia e Lo sa il mare.Secondo me, a differenza di quanto pensano molte lettrici, la narrativa breve, soprattutto nello storico, richiede capacità perfino superiori al romanzo. Innanzitutto un racconto si dichiara tale e quindi mi dà sempre fastidio quando qualcuno si lamenta della brevità. Certo bisogna trovare protagonisti ed eventuali comprimari adatti e soprattutto lavorare molto di forbici: nessuna parola deve essere inutile, niente sbrodolamenti e insieme occorre costruire una narrazione solida, anche nella sua essenzialità. La Kent ricorre quindi talvolta all’ellissi, quando è sicura di aver fatto comprendere a chi legge il contesto, e in Seta ha dimostrato di saper rappresentare in modo verosimile un colpo di fulmine che avvia i protagonisti al matrimonio in meno di due giorni.Così in Fumo alterna con abilità descrizione e dialogo, riuscendo a fare di Margaret e Hugh due personaggi molto cari e simpatici e insieme introdurre la figura di Ryan, protagonista del romanzo successivo, ma non perde neanche l’occasione di delineare da un punto di vista inglese, in modo incisivo ed efficace, la figura di Napoleone e insieme accennare al terribile tributo di sangue, pagato con la battaglia di Waterloo.Quanto ai romanzi, la duologia che io chiamo delle Rose si sviluppa prima in senso sentimentale, poi anche sociale. Vento di Cornovaglia è, invece, soprattutto un romance d’azione sull’assedio di Pendennis ad opera delle truppe di Cromwell. Il rischio della staticità viene superato, dando spazio addirittura a tre storie d’amore e costruendo una narrazione avvincente, dove la sconfitta finale di un popolo che si piega, ma non si spezza, trova i toni dell’epica.L’ultimo pubblicato, il bel seguito Lo sa il mare, ambientato nell’Inghilterra postnapoleonica, quindi a grande distanza di tempo, potrebbe essere definito un romanzo di argomento controspionistico sul rischio che la “follia” di Giorgio III e lo scarso carisma del Principe reggente mettessero in pericolo la continuità della monarchia inglese. Tutto verrà risolto da Ryan e Katherine, che in cambio l’autrice premierà concedendo loro un grande amore.Nel corso di questi ultimi anni ho imparato a conoscere bene la Kent e a fidarmi di lei, un po’ grazie alle molte opere pubblicate in così breve volgere di tempo, ma anche alla sua presenza sul web. Si tratta, infatti, di una scrittrice che cura molto il rapporto con le sue lettrici, innanzitutto nel blog dei Romanzi Mondadori, dove risponde sempre con garbo e puntualità agli interventi, poi su Facebook, dove tiene continuamente vivo il filo diretto con chi la legge e organizza spesso eventi online stuzzicanti.
E, addirittura, ha invitato per ben due volte le lettrici di Roma e chi altro volesse ad un tè (cos’altro poteva essere da parte di una Kent, che scrive romanzi di ambientazione british?) alla Galleria Sordi, insieme a Lorena Bianchi e Kathleen McGregor. Un incontro molto piacevole, e direi quasi di tipo familiare, per quelle di noi che hanno potuto partecipare. Né posso tacere sul suo intervento particolarmente efficace alla VER di Firenze di quest’anno.Devo aggiungere che mi aspetto molto da lei anche in futuro? No, immagino che non occorra.
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