“Jo vi andò preparata a inchinarsi davanti a quei grandi che aveva sempre venerato con giovanile entusiasmo così da lontano. Ma la sua venerazione per il genio ricevette un rude colpo quella sera, e ci volle del tempo prima che si rimettesse dalla scoperta fatta, che quei grandi non erano dopo tutto che uomini e donne come tutti gli altri.Immaginate la sua delusione quando, gettando uno sguardo di timida adorazione al poeta le cui poesie suggerivano l’idea di un essere etereo, nutrito di «spirito, fuoco e rugiada» lo vide che divorava la sua minestra con un ardore che congestionava il suo viso da intellettuale. Distogliendo gli occhi da quell’idolo infranto fece un’altra scoperta che rapidamente disperse le sue romantiche illusioni. Il grande romanziere oscillava fra due caraffe di vino con la regolarità di un pendolo; il famoso teologo flirtava apertamente con una Madame de Staël del momento, che a sua volta lanciava sguardi furiosi a una Corinna che la prendeva amabilmente in giro dopo essere riuscita, con sapienti manovre, ad attrarre il profondo filosofo, il quale sorbiva johnsonianamente il suo tè con aria semiaddormentata, poiché la loquacità della signora gli impediva di dire una sola parola.”
Come tutte le donne della mia generazione, da ragazza sono cresciuta leggendo le pagine di Piccole donne della Alcott. Confesso che all’epoca questo brano mi sconcertò perché avevo un’idea molto idealizzata dell’attività intellettuale, ma non vi detti molta importanza: in fondo Jo a me era sempre sembrata, diciamo, un po’ strana. Naturalmente all’epoca ignoravo che la scrittrice era figlia di un importante intellettuale e quindi in contatto con gli ambienti culturali di più alto livello. Di più mi turbai quando lessi un pensiero sferzante di Monod sulla qualità umana degli scienziati, a suo dire per nulla migliori di noi persone comuni, anzi delle peggiori fra le persone comuni. E sapevo che aveva la stessa opinione anche Asimov, che non era proprio uno qualunque.Però le scrittrici rosa, fino a tempi recenti, per me vivevano in un mondo a parte, condividendo lo stesso livello superiore, sia intellettuale sia morale, dei loro personaggi. Mi cullavo in questa sicurezza perché quasi mai avevo avuto contatti diretti e personali con loro. E qualche brutta esperienza poteva apparirmi un’eccezione. Poi per me è arrivato Facebook, cioè non solo un rapporto diretto, ma anche quotidiano, immediato, spesso impulsivo. Con tutte le ovvie conseguenze.Premetto che spesso neanche noi lettrici brilliamo per tolleranza e cortesia. Ad esempio ci sono gruppi dove non è lecito esprimere una valutazione diversa dalla maggioranza neppure su libri stranieri. E in genere sono piuttosto suscettibili, per ragioni a me sconosciute, tutti coloro che si occupano specificamente di sadomaso e m/m: basta esprimere una perplessità per essere considerati omofobi e in genere ipocritamente puritani. Spesso mi è stato addirittura sconsigliato di chiedere informazioni o leggere alcuni romanzi, cosa un po’ curiosa in questa fase in cui alcune case editrici stanno spingendo questi generi nuovi per l’Italia.Delicato è il tema su come una scrittrice dovrebbe rispondere a una recensione negativa, o che tale le appare. Premesso che a nessuno piace essere criticato (a me meno che a tutti gli altri, e non sono neanche una scrittrice), la maggior parte delle autrici esperte reagisce con buona educazione. Parlano ad esempio di differenza di gusti personali o difendono pacatamente le loro scelte, alcune (devo dire poche) sfruttano l’occasione per pubblicizzare la loro opera (secondo il principio “parlate pure male di me, basta che ne parliate”). In tal senso mi pare si distinguano in senso positivo i pochi scrittori uomini (personalmente ho fatto un’esperienza simpatica con Canella e Noseda), che pubblicano su facebook anche recensioni non positive, aprendo un dibattito che dia risonanza al loro libro, salvo poi dover difendere la recensora dai loro fan, che invece si offendono a morte e vorrebbero procedere direttamente al linciaggio.In proposito Giusy Valenti, una delle lettrici più generose, ha pubblicato il suo decalogo:
Promemoria di una lettrice- Se decidi di commentare un libro, attenta a non rilasciare meno di 5 stelline. In alcuni casi nemmeno 4 sono sufficienti.- Se rilasci 2 stelline, aspettati di aver smarrito il nome. Diventi "la tizia", "la tipa", ..."quella"!- Se ne metti una, dai prima disposizioni per un funerale. Il tuo.- Non esprimere con troppo entusiasmo di aver apprezzato il libro di un'amica. Sei di parte, quindi...- Non criticare il libro di un'amica. Che razza di persona è una che ti parla schiettamente?- Non osannare un'autrice più di un'altra. Verrai giudicata per i tuoi gusti di lettura.- Anche se l'autrice ti chiede di essere sincera, leggi tra le righe: siamo amiche finché ti piace cosa scrivo.- La libertà di parola, i gusti personali, il diritto di esprimersi con sincerità... sono un optional, un'utopia, un'illusione.- Fingi che ti piaccia tutto ciò che leggi o ti farai dei nemici. Non importa se vai contro la tua natura, sopprimi te stessa!- Segui tutte le regole non scritte, e sarai la miglior lettrice del mondo.Promemoria 2- Inutile che scrivi il promemoria 1, farai sempre di testa tua e scriverai quello che pensi.- Condoglianze in anticipo.
Proprio amaro, vero? Il fatto è che noi lettrici ci restiamo male: abbiamo speso dei soldi (magari pochi, ma li abbiamo spesi), abbiamo letto il libro, rubando tempo ai nostri mille impegni quotidiani e soprattutto al sonno, altro tempo abbiamo dedicato a scrivere una recensione, anche con la lodevole intenzione di fornire un parere onestamente critico all’autrice, per avere libri sempre migliori. E in cambio ci può capitare di tutto.Da questo punto di vista mi pare che le scrittrici giovani siano a volte quelle con meno freni inibitori: non so se la mia impressione sia influenzata dalla mia età (insomma se sto diventando una vecchia brontolona) oppure se sono cambiati i tempi e soprattutto le regole del galateo. Comunque talvolta ci vanno giù pesante sulla lettrice che ha espresso un giudizio non gradito. Inutilmente mi è capitato di fare presente che infierire su una propria lettrice non è la politica di marketing più intelligente. Una volta, non ricordo più chi mi ha addirittura risposto che lettrici come quelle non le voleva!Ma la cosa più sconcertante è quando intervengono nel dibattito altre scrittrici, anche loro per dare addosso alla “delinquente”. Mi sono chiesta perché si vogliano inimicare così un pubblico potenziale. Ma non ho trovato risposte.Inutile anche lagnarsi delle recensioni false o addirittura comprate. Tutti lo dicono, a volte pare per esperienza personale, e quindi sarà vero, anche se non capisco con quali soldi, dato che la professione intellettuale di regola in Italia non arricchisce nessuno. Forse solo per vanità? Mentre, per la verità, tutte noi lettrici ormai facciamo la tara sulle recensioni, particolarmente se opera di sconosciuti, e valutiamo soprattutto quelle da 1-2-3 stelle, in genere più significative.D’altra parte ho anche qualche indizio per pensare che non tutte le ondate di cinque stelle siano manovrate dalle autrici, come credevo. A cosa sono dovute allora? Solo a piaggeria fine a se stessa? O alla voglia di acquistarsi simpatie?Davanti alle stelle solitarie non seriamente motivate, secondo me, è consigliabile glissare signorilmente oppure con ironia. Per esempio puntualizzando (quando è vero) che il recensore è ai primi passi, oppure che interviene solo per stroncare. Una volta è stato sottolineato il fatto che aveva recensito anche dei tappi. Particolare senza dubbio comico.Di recente Amazon ha introdotto la possibilità di commentare le recensioni. In questi casi la cosa migliore è lasciar campo libero alle proprie ammiratrici, possibilmente non le più fanatiche. Ad esempio sull’ultimo libro di Augias su Gesù c’è stato un intervento cattolico integralista che liquidava l’opera come un insieme di frottole. Naturalmente c’è chi ha risposto in tono violentemente laicista. Io ho preferito chiedere qualche esempio di frottola. Finora non c’è stata nessuna risposta. Ma spero che in futuro possa esserci sui libri un vero dibattito.
In ogni caso facebook non dovrebbe diventare un mezzo per sfogare le proprie frustrazioni personali: un’autrice si deve dimostrare superiore, come noi pensiamo che sia. Servirà a procurarle nuove lettrici. O almeno io reagisco così: non compro mai il primo romanzo di una giovane autrice maleducata.Vorrei concludere citando Mara Roberti, una scrittrice piuttosto abile nel rapporto con i social media:
“Il mondo della scrittura visto dai social spesso è deprimente, diciamocelo. Gli scrittori dovrebbero scrivere storie, non scrivere delle storie che hanno scritto o che scriveranno. E gli scrittori sui social secondo me dovrebbero parlare di meno e ascoltare di più. Ascoltare i lettori, i loro pareri e le loro storie, cogliere emozioni, spunti, opinioni. Dovrebbero approfittare dello scomodo privilegio di scoprire in diretta che cosa diventano le loro storie agli occhi di chi le legge. Perché se dedicano tanto tempo a offendersi per un parere negativo, a gridare al complotto, a elemosinare recensioni, a fare la ruota sotto la definizione di “scrittore”, finiranno per dimenticarsi che il loro compito è solo raccontare storie, non raccontare se stessi. E che una storia per prendere vita ha bisogno della magia dell’ascolto, di quel momento in cui si abbandona il presente per scivolare in un tempo e luogo diverso trasportati dalle parole, complici, chi narra e chi ascolta.Ma per riuscirci bisogna essere in due, le storie non si raccontano davanti allo specchio, soprattutto se le raccontiamo nella speranza di sentirci dire che siamo le più belle del reame.Per raccontare, insomma, bisogna ricordarsi di ascoltare, ogni tanto.”
Naturalmente alcune scrittrici lo fanno già. Ad esempio (e mi scuso con tutte quelle che non posso citare) Ornella Albanese tiene spesso conto dei rilievi delle sue lettrici.
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