Lorenzo Viani (ginoramaglia.it)
“Io penso che l’anima esista, abbia sede nel cervello e sia mortale. Per quel che ne posso conoscere si manifesta attraverso il principio dell’autocoscienza. Ciò non vuol dire che essa stessa non possa essere anche dell’altro, che però non si manifesta. Ciò vuol dire anche che se un trapianto di cuore non cambia la persona che lo riceve, lo stesso non si potrebbe dire, se fosse possibile, di un trapianto di cervello, che cambierebbe una persona in un’altra, e per me vorrebbe dire cambiare un’anima con un’altra. Non trovo che ci sia nulla di più importante di un senso di identità che, seppure effimero, porti a galla in una forma irripetibile l’immensa, o se vuoi miserabile, materia del mondo. Tu potresti dirmi: e tutti quegli uomini che per età o per malattia non sono in grado di esercitare la propria autocoscienza allora non hanno un’anima? Non lo so. E gli animali e le piante, che seppure in forme di diversa complessità, incarnano nelle loro forme irripetibili lo stesso principio di individualità? Non so nemmeno questo. Può essere, può essere di no. Non credo nei sistemi perché non ha senso per me l’ambizione di dimostrare tutto, né abbandono facilmente ciò che ho trovato buono quando una contraddizione mi costringe a riprendere in esame quello che ho pensato”.
Quando Stefano ebbe finito di parlare Firmina si accorse che erano le tre. Un cameriere spazzava sotto le panche e il barista contava gli incassi. Dalle finestre veniva freddo e la luce malsana dei lampioni. Allora ella pagò il vino e lasciò il compagno al tavolo, a tormentare il tappo del fiasco e gorgogliare altre cose da ubriaco. Quando fu fuori pensò che era molto più facile essere filosofi anziché matematici e si congratulò con se stessa per aver scelto la carriera della commercialista.
La città, che di giorno era indiavolata, adesso le sembrava spenta, o al limite impegnata in un passatempo facile e riposante. Casa sua era a pochi isolati dal pub, ma anziché incamminarsi chiamò un taxi e pagò in anticipo per un giro nel centro storico. Abbassò i vetri, lasciò che l’aria del fiume coi suoi ponti agili e le acque pesanti le battesse sul volto, osservò il bianco dei monumenti e gli scheletri dei platani accesi dai fari, incapace di pensare niente di migliore delle sciocchezze che aveva ascoltato.