Sono sempre stata impressionata dalla forza delle parole di una bellissima poesia di Henley dal titolo “Invictus” ovvero “non-vinto” che consiglio a tutti di leggere.
![william-ernest-henley william ernest henley 226x300 Lanima invincibile di Henley](http://m2.paperblog.com/i/35/358589/lanima-invincibile-di-henley-L-3GFQbZ.jpeg)
Questa poesia è un vero e proprio inno alla fede, alla libertà e alla resistenza dell’uomo di fronte ai momenti più cupi della propria esistenza e leggendola, è facile capire perché nel tempo è stata fonte di ispirazione per tante persone e perché ancora oggi continua ad essere molto apprezzata.
Per comprendere a fondo le parole di Henley, però, bisogna conoscere la sua storia e le circostanze in cui scrisse questa poesia.
Il poeta inglese scrisse questa poesia durante il suo calvario in un letto di ospedale; in preda alla più profonda disperazione, invece di affliggersi reagì con coraggio, determinazione e speranza.
Invece di sprecare il suo tempo disperandosi per ciò che aveva perso decise di alzarsi e continuare a guardare avanti non lasciando a nessuno, se non a lui stesso, il controllo della sua vita.
La storia di William Ernest Henley
La vita di Henley, seppur breve (morì all’età di 53 anni), fu messa più volte a dura prova da una grave malattia che lo costrinse a lunghi e travagliati periodi di ricovero in ospedale.
A 12 anni, infatti, si ammalò di una grave forma di tubercolosi alle ossa ma nonostante la malattia riuscì a continuare gli studi e ad intraprendere con successo la carriera di giornalista ed editore a Londra.
All’età di 25, quando la tubercolosi era visibilmente progredita, fu necessaria l’amputazione di una gamba sotto al ginocchio per garantirgli la sopravvivenza. Henley continuò a vivere per circa 30 anni con una protesi artificiale e proprio questa sua caratteristica ispirò al suo amico Robert Louis Stevenson il personaggio di Long John Silver nell’Isola del Tesoro.
Qualche anno dopo l’amputazione, i medici scoprirono che l’infezione aveva contagiato anche l’altra gamba per cui, occorreva di nuovo una recisione. Henley però questa volta non si diede per vinto, non accettò di essere operato e si affidò alle cure del Dott. Joseph Lister, che da poco aveva inventato la medicina antisettica. Le cure innovative di Lister riuscirono a salvarlo dalla seconda amputazione ed è proprio in questi tre anni di cure e di degenza in ospedale (precisamente nel 1875) che scrisse la poesia Invictus:
Dal profondo della notte che mi avvolge,
buia come il pozzo più profondo che va da un polo all’altro,
ringrazio gli dèi qualunque essi siano
per l’indomabile anima mia.
Nella feroce morsa delle circostanze
non mi sono tirato indietro né ho gridato per l’angoscia.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
il mio capo è sanguinante, ma indomito.
Oltre questo luogo di collera e lacrime
incombe solo l’Orrore delle ombre,
eppure la minaccia degli anni
mi trova, e mi troverà, senza paura.
Non importa quanto sia stretta la porta,
quanto piena di castighi la vita,
io sono il padrone del mio destino:
io sono il capitano della mia anima.
Questa poesia è come una specie di promemoria che ci ricorda come ognuno di noi abbia qualcosa di solido dentro di sé che sopravvive a qualsiasi dolore e rottura, perché anche se il nostro corpo fisicamente può piegarsi o “rompersi”, il nostro spirito, se lo vogliamo, non verrà mai intaccato da nulla.
Le ultime due righe della poesia richiedono una grande responsabilità che molti non sono pronti ad assumersi che è quella di prendere in mano le redini della propria vita e guidarla nella direzione in cui vogliamo. Henley, come molti altri personaggi illustri e non, è l’esempio concreto che siamo solo noi a decidere della nostra sorte.
L’ “anima invincibile” di Henley è un’anima libera, priva di pregiudizi e di paure; un’anima che supera tutte le avversità e và avanti anche quando niente sembra avere senso.
Ed è per questo che le sue parole possono essere come una lanterna nella nostra vita quotidiana.
Share