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Per una maggiore comprensione della serie di articoli "L'anima nera del Totoro", che è iniziata qualche giorjno fa qui sul blog, consigliamo di leggere prima i due post dal titolo "L'incidente di Sayama". Se non li avete ancora letti, cliccate qui.Prima di tirare definitivamente le somme, occorre però tentare un serio parallelismo tra l'anime e il caso Sayama. Analizziamo qui di seguito nell'ordine, i luoghi, il periodo storico, i personaggi e il simbolismo che lega tutto assieme.
L'ambientazione è molto simile: la località di Sayama, dove si svolse il delitto della povera Yoshie Nakata, non è lontata da Tokyo e l'anime si svolge nella campagna attorno a Tokyo. Ma forse la spiegazione più semplice è che Miyazaki è originario di quella stessa zona... Che nel film ci sia molto di autobiografico è cosa risaputa: quando Miyazaki era piccolo, sua madre si ammalò di tubercolosi spinale e suo padre si trasferì con lui in campagna. Sembra che all'epoca l'ospedale di Hachikokuyama fosse un centro molto famoso per la cura di questa malattia. Nel film questo non viene mai specificato, ma è generalmente accettato che anche la madre di Mei e Satsuki sia malata di tubercolosi: Hachikokuyama, quindi, sarebbe il modello su cui è stato costruito l'ospedale, fittizio, di Shichikokuyama, collocato suppergiù nella stessa area geografica.
Il periodo storico. “Il mio vicino Totoro” è ambientato negli anni '50 del secolo scorso, l'epoca dell'infanzia del suo autore (Miyazaki è del '41). Il caso Sayama si svolse invece nel 1963.
Altri riferimenti temporali. Potrebbe essere una coincidenza, ma l'omicidio Sayama si svolse in maggio e il nome Mei si pronuncia come il mese di maggio in inglese. Il nome Satsuki, inoltre, in giapponese antico significava maggio (infatti si scrive con gli stessi kanji di “gogatsu”, il “quinto mese”: 五月). I fan del film sostengono che questa scelta sia stata fatta per sottolineare il legame tra Totoro, lo spirito della foresta, e le due bambine che portano il nome del mese di maggio (mese primaverile in cui la primavera è già avanzata). Ci sarebbero altre similitudini temporali evidenziate dai più ma, francamente, mi sembrano talmente pretestuose che preferisco non riportarle. Invece, una curiosità: nei giorni in cui la vera Yoshie Nakata veniva rapita si svolgeva un festival, mentre le vicende dell’anime si volgono durante la festa del raccolto.
I personaggi. Per non rendere la storia troppo autobiografica (e, per lui, penosa), Miyazaki decise che la protagonista dovesse essere una bambina invece che un maschio: solo in seguito le protagoniste divennero due e questo spiegherebbe perché sia stato dato loro, in pratica, lo stesso nome. Tra l’altro esiste anche un poster (utilizzato nella maggior parte delle cover delle VHS del film) che mostra la prima incarnazione della sua protagonista, perciò non si tratta di Satsuki né di Mei. Insomma, né la presenza di due sorelle né il mese di maggio sarebbero riferimenti al caso Sayama. È stato anche ipotizzato che il personaggio di Kanta rappresenti Genji Okutomi, il primo sospettato nel caso Sayama che si suicidò nel maggio 1963, e che si diceva fosse legato sentimentalmente a entrambe le sorelle Nakata, Yoshie (la vittima) e Tomie (come lui morta suicida): ma Kanta è un personaggio così poco approfondito che un tale parallelismo è molto difficile da sostenere…
Totoro. Si dice che a Tomie Nakata sia apparso un “grosso tanuki” e, in effetti, Totoro assomiglia vagamente ad un tanuki. Questa voce però sembrerebbe nata sul web: è su una voce creata ad arte che si basa la “leggenda metropolitana” che riguarda Totoro?
Il simbolismo. Totoro non sarebbe uno Shingami, così come il troll non è una divinità; che io sappia, il troll non è associato in alcun modo con la morte. Neanche i susuwatari sarebbero portatori o annunciatori di morte, dal momento che la Nonnina all’inizio del film afferma di averli visti anche lei da bambina. Nel film ci sarebbero in effetti degli spiriti che solo i puri, ovvero i bambini, possono vedere: ecco perché la mamma di Satsuki e Mei non è in grado di vedere le due bambine quando sono vicine al nekobus, ma solo (grazie al suo amore di madre) di percepirne la presenza. C’è un altro particolare che ricorre spesso nelle teorie “cospirazioniste” ed è la presenza delle statue del Bodhisattva Kṣitigarbha, dette statue Jizō, che lo rappresentano con la testa rasata e con addosso un abito da monaco: si tratta di simboli comuni nei cimiteri giapponesi perché si pensa che proteggano i defunti, in particolare coloro che muoiono giovani o prima ancora di nascere (i neonati prematuri e malformi e i feti abortiti). Quando Satsuki trova la sorellina scomparsa, quest’ultima è seduta vicino a sei statue Jizō: significa forse che Mei è morta? Non necessariamente. Bisogna considerare che questa divinità è anche protettrice dei viaggiatori, dà forza ai deboli (e chi è più debole dei bambini?) e a coloro che si trovano in luoghi pericolosi, e per questo le sue raffigurazioni sono poste spesso in corrispondenza degli incroci, luoghi che simboleggiano il confine tra luoghi fisici e spirituali, tra il qui e l’oltre, ovvero tra la vita e la morte. È possibile quindi che la cosa non abbia nessun particolare significato oppure, se ne ha uno, che sia quello opposto: forse le statue sono lì per proteggere Mei.
Il finale. I titoli di coda mostrano la famiglia felice al completo, inclusa la mamma che, evidentemente, è stata dimessa dall’ospedale. Questo sembrerebbe dimostrare che la storia ha effettivamente avuto un lieto fine, a meno di non supporre (come qualcuno ha effettivamente fatto) che si tratti di ricordi di quando la famiglia era felice, oppure che i personaggi si riabbraccino solo… nell’aldilà!! Per dovere di cronaca va segnalato che esiste un corto di 13 minuti che può effettivamente considerarsi il seguito de “Il mio vicino Totoro”, narra altre avventure di Mei e del nekobus ed è visionabile presso il Ghibli Museum (dovrò ricordarmene la prossima volta che capito a Tokyo!): nel film, Mei abita con la sua famiglia.
Lo Studio Ghibli ha sempre negato che Tonari no Totoro sia ispirato ai fatti di Sayama. È anche vero che Miyazaki non poteva non conoscere il caso Sayama e che difficilmente avrebbe voluto (o gli sarebbe stato consentito) associare ad esso la mascotte dello Studio Ghibli.
A questo punto possiamo cominciare a tirare qualche somma. La morte è un fenomeno naturale, su questo non ci piove. L’unico modo per conciliare il Totoro che noi conosciamo (con il suo carattere bonario, con i semi regalati a Satsuki che durante la notte fa germogliare, con la meravigliosa avventura notturna che offre alle due sorelle) con l’immagine del portatore di morte è tenere a mente questo.
A questo punto possiamo tentare di dare una risposta alla domanda posta all’inizio del post: “Il racconto delicato e poetico che ha per protagoniste le sorelle Satsuki e Mei, dunque, parlerebbe di morte?”
La mia risposta è: può darsi. Ma se davvero Miyazaki ha preso spunto da una storia reale, forse l'ha fatto proprio perché era così drammatica - come Guillermo del Toro nel suo “Il labirinto del fauno”, che è andato fino in fondo nel mostrarci la morte di un'innocente ammantandola però di struggente poesia. O forse, come io penso, il suo intento era riscriverne il finale, per dare alle due sorelle virtuali quel futuro roseo che le sfortunate Yoshie e Tomie Nakada nella realtà non hanno avuto. Un po’ come fece De Andrè con la sua “Marinella”, che in una vecchia intervista così descrisse: “La Canzone di Marinella non è nata per caso, semplicemente perché volevo raccontare una favola d’amore. È tutto il contrario. È la storia di una ragazza che a sedici anni ha perduto i genitori, una ragazza di campagna dalle parti di Asti. È stata cacciata dagli zii e si è messa a battere lungo le sponde del Tanaro e un giorno ha trovato uno che le ha portato via la borsetta dal braccio e l’ha buttata nel fiume e non potendo fare niente per restituirle la vita, ho cercato di cambiarle la morte.”