Siamo in chiusura d’anno e, come da tradizione, si azzardano previsioni e consigli sul futuro prossimo venturo.
Dovendo tirare le somme del 2015 la principale conclusione che traggo è che si è trattato ancora una volta dell’anno delle chiacchiere, del parlarsi addosso e della scarsa concretezza.
Non vi è convegno, incontro per addetti ai lavori, in cui non vengano citati casi virtuosi, esempi di quante cose interessanti sia possibile fare grazie al connubio digitale-giornalismo-giornali. Del come il mettere il lettore, le persone, al centro del processo sia sempre meno una opzione e sempre più, finalmente, una necessità. Di engagement, di coinvolgimento, di community, e di molto altro ancora.
Peccato che quasi sempre gli esempi, le case study, siano di quel che avviene altrove, con i soliti esempi dei virtuosismi del Guardian e/o del New York Times, di Buzzfeed, Vice e Quartz, solo per citare i più ricorrenti. [Ec]citazioni che però non riguardano quasi mai la realtà italiana che invece resta appiattita su se stessa nel complesso con giornali e redazioni che esprimono un tasso di innovazione che definire scarso è un eufemismo.
I casi d’interesse, quei rari, vengono da proposte che nascono fuori dai grandi editori. Penso a Good Morning Italia, ormai alle “fase due” di sviluppo, o a Slow News, ed ancora, al successo del crowdfunding di Valigia Blu, unica testata a produrre qualcosa di degno di nota sotto il profilo giornalistico relativamente al caso ENI Vs Report e, perchè no, alla nascita di Wolf.
Volendo coniare un motto per il 2016 credo che il migliore possa essere il mai dimenticato più fatti meno parole. Meno chiacchiere, meno riunioni “strategiche”, soprattutto meno differenze tra dichiarato e realizzato. Se ci sarà più coerenza tra le parole ed i fatti allora progrediremo, finalmente, nella direzione giusta invece di far nascere dopo anni di annunci e tormenti un’Edicola Italiana obsoleta il giorno stesso del suo lancio o Gazzetta Tv su cui sono stati sperperati 10 milioni di euro per decidere, sostanzialmente, di chiuderla a circa un anno dal lancio, tanto per citare esempi emblematici dello scarso tasso di innovazione dei newsbrand del nostro Paese.
Ormai lo scenario è chiaro. Quale sia la situazione e quali ragionevolmente potranno essere gli sviluppi del prossimo triennio è evidente. Meno tavole rotonde e più workshop, di valore, per mettere le persone nelle condizioni di operare concretamente. Più piccoli progetti, e piccoli budget d’investimento, con i quali sperimentare in modo snello e continuo, per sbagliarne 7 su 10 ma, finalmente, imbroccarne qualcuna.
Cantava l’indimenticabile Lucio Dalla in «L’Anno che Verrà»: “L’anno che sta arrivando tra un anno passerà io mi sto preparando è questa la novità”. Facciamo in modo che sia davvero così.