Per almeno un paio d’anni ho girato attorno a questo volumetto, desiderandolo leggere ma non trovando mai l’ispirazione per aprirlo, nonostante le ottime critiche.
Presa da uno dei miei abituali momenti di rigetto per la narrativa, ho pensato di passare a qualcosa che :
a) parlasse di giardini
b) non fosse narrativa
c) fosse rilassante e scorrevole
Mi sono detta: è il momento buono per L’anno del giardiniere , di cui tutti dicono che faccia molto ridere e sia arguto e un po’ bislacco.
Succede spesso di rimanere delusi da un libro dopo aver letto critiche entusiastiche (in effetti molto spesso sarebbe opportuno contenersi), ma la sensazione più viva che ho provato nella lettura di questo volumetto non è tanto la delusione, quanto piuttosto il desiderio di finirlo in fretta e accantonarlo.
La prefazione del traduttore ci avverte: la bellezza del libro è quasi tutta nello stile, perchè Capek usa il cecoslovacco come pochi. Ma il cecoslovacco non proprio la lingua più conosciuta del mondo. Giocoforza la traduzione è perdente in partenza.
Grazie, ma forse non avremmo voluto saperlo.
Io non l’ho trovato divertente per nulla. L’umorismo non è sciatto, ma è un po’ antiquato, il testo sente pericolosamente gli anni che si porta. Le descrizioni un po’ demenziali delle abitudini del giardiniere fanno appena accennare un sorriso, o aggrottare la fronte, perché molti di questi comportamenti si sono evoluti (non sempre in meglio).
Il testo non si propone come fonte “storica”, nè riesce a librarsi sopra un umorismo semplice, un po’ televisivo.
In conclusione non direi che è stata una lettura “persa”, ma neanche la miglior lettura dell’anno.
Molti contemporanei di Capek gli riconoscevano una qualità stilistica sopraffina, e gli rimproveravano di “spenderla” in racconti un po’ sciocchi, un po’ banali. Purtroppo mi devo aggiungere a questa schiera di critici, e lo faccio a malincuore, perchè si capisce che tra una scenetta e l’altra, Capek era molto intuitivo e percettivo, riflessivo. E’ un vero peccato che non abbia messo queste sue riflessioni su carta in maniera un po’ meno barzellettistica.
Leggete ad esempio questo passo che ho segnato col lapis rosso in cui si parla di una “tassonomia botanica”. In buona sostanza di una classificazione dei gusti (e dei disgusti) a seconda delle classi sociali, degli esercizi commerciali, del tipo di idea che di sè si vuole comunicare agli altri.
Un’opera monumentale, in cui autori come Valerio Merlo o Pierre Bourdieu buonanima, si sarebbero persi.
Il volumetto invece mi sembra utilissimo per avvicinare i ragazzi al giardino, o comunque per fargli leggere qualcosa di piacevole. Laddove ci saranno concetti un po’ troppo difficili per un ragazzino di dodici o tredici anni, loro suppliranno con l’intuizione (lo facevamo sempre, ricordate?), oppure potrebbero esserne così interessati da decidere di rileggerlo più avanti.
Credo sia un libro veramente ottimo per gli adolescenti amanti della lettura, perchè la comicità semplice è alla portata dei ragazzi, e il giardiniere viene descritto in maniera buffa e un po’ ridicola, con le sue manie, le sue bizzarrie. E il fatto che sia stato scritto da un uomo lo rende un po’ vicino anche ai maschi, che di giardino spesso si interessano quando sono un po’ più maturi.
Personalmente credo che se mi fosse capitato tra le mani quando facevo le medie, l’avrei trovato scompiscevole.
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