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L’anno nero: nemmeno un’italiana ai quarti. Ma perché?

Creato il 18 marzo 2016 da Agentianonimi

Scriveva desolatamente Pierluigi Pardo su Twitter: “Spagna – Italia 6-0 #amarezza”. Non si potrebbe riassumere in modo migliore un mese orribile per il calcio di casa nostra, che ha rispedito al mittente quell’obiettivo che consisteva almeno nell’avvicinarsi alla buona annata dell’anno scorso o addirittura di riconquistare il quarto posto in Champions dal 2017. Niente da fare.

La prima a uscire era stata la Sampdoria di Walter Zenga, umiliata con una scoppola interna (0-4) ai preliminari di luglio di EL dal modesto Vojvodina. Poi la Lazio, esclusa dalla Champions ad agosto ma comunque aggrappata alla competizione minore. Una fine 2015 buona, con tutte le italiane qualificate almeno come seconde nei rispettivi gironi e un andazzo che sembrava prendere la strada giusta. Poi, tra febbraio e marzo, il castello di carte è venuto giù: in Europa League fuori ai sedicesimi Fiorentina e Napoli, agli ottavi la Lazio spreca tutto. In Champions le cose non vanno meglio: basta un sorteggio ostico e la Roma viene affossata da un non brillantissimo Real Madrid e la Juventus esce a testa altissima contro gli alieni del Bayern Monaco.

Nella fase a eliminazione diretta, su 12 partite le italiane ne hanno vinta appena una (Lazio-Galatasaray 3-1), poi cinque pareggi e sei ko. Numeri decisamente poco confortanti. E’ il risultato del continuo gioco al ribasso del nostro campionato. Ad oggi, soltanto una squadra ha dimostrato di avere idee, risorse e volontà per costruire un grande progetto, al punto da tenere testa alle migliori compagini del pianeta. Ma dietro è il vuoto.

I punti che ci hanno fatto accumulare ritardo rispetto agli altri campionati europei sono altri due: ritmo e denaro. La Serie A ha progressivamente abbassato i ritmi di gioco, soprattutto nella parte destra della classifica, regalando sbadigli in più di una partita per turno. Siamo il torneo più vecchio d’Europa, da noi vengono a chiudere la carriera i miti di un tempo (Marquez, Cole, Keita…) senza che riusciamo a procacciarne nuovi e appetibili.

Ovviamente anche il fattore denaro è decisivo. I grandi club europei sono o in mano a petrolieri asiatici (City e Psg) oppure ad assemblee di soci che non hanno problemi a tirar fuori centinaia di milioni a ogni sessione per rinforzare la rosa, indipendentemente dai risultati. Appena le tradizionali big italiane (Milan, Inter) hanno smesso di vincere si è preferito giocare al risparmio, mentre squadre come il Manchester United, che ieri ha abbandonato l’ultima competizione in cui aveva chance di vincere (manca ancora la Coppa di Lega, in realtà), ha sborsato 322 milioni in due anni e si appresta ad aprire di nuovo il portafoglio in estate.

Una volta esistevano le squadre di passaggio, quelle che stazionavano sempre a medio-bassa classifica, compravano talenti a pochi spicci e li rivendevano a milioni, come Udinese e Palermo. Oggi l’intera Serie A è diventata un campionato di passaggio, dove appena i talenti iniziano a sbocciare arrivano le aquile a portarli via. Il Psg ha rifondato una squadra facendo shopping in Italia (Thiago Silva, Ibrahimovic, Cavani, Lavezzi, Pastore, Sirigu, Verratti…) e il Bayern ha colpito la Juve con le armi che lei stessa le ha venduto meno di un anno fa, Vidal e Coman.

Rimane solo l’Europeo per rialzare un’annata nerissima sotto quasi tutti i punti di vista, un successo che dia morale all’ambiente. Per l’Europa, ci vediamo a luglio.


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