L’anno prima della guerra. Aprile 1914

Creato il 11 aprile 2014 da Lundici @lundici_it
Cosa accadeva cento anni fa in Italia? Come l’Italia venne portata alla guerra da un pugno di politici ambiziosi superficiali e da pochi nazionalisti esaltati. I cambiamenti in corso. Arriva il telefono, l’automobile, la bicicletta, la pubblicità. Governano i liberali. I socialisti si oppongono. L’arte è dominata dal chiasso dei futuristi. La scrittura dai versi incomprensibili di D’Annunzio. Si diffondono il calcio e il ciclismo. Il cinema italiano produce quasi 600 film l’anno. Il 1914 è un anno che promette benessere ma è percorso da forti tensioni. Per capire un anno decisivo della storia italiano, l’Undici racconta ogni mese gli avvenimenti dell’ultimo anno di pace prima della guerra e del fascismo. Ogni mese, dall’aprile 1914 al maggio 1915. 

5 aprile 1914. Si vota a Montecitorio la fiducia al governo Salandra. Ecco la scena. Un parlamento informe e screditato, composto di notabili meridionali e di deputati settentrionali a libro paga delle grandi imprese che vivono di commesse pubbliche. Maggioranze variabili. All’opposizione un movimento rivoluzionario che rifiuta ogni collaborazione, i socialisti del segretario Costantino Lazzari, intransigente prima che rivoluzionario. Accanto a lui il virulento direttore dell’Avanti!, Benito Mussolini. Sopra tutti un politico piemontese che conosce bene il sistema e i vizi del paese, Giovanni Giolitti. Governa con i ricatti, con la compravendita di deputati e con i prefetti che manipolano le elezioni, soprattutto a sud. Salvemini lo chiama “il ministro della malavita”.

Giolitti all’ingresso alla Camera. Cinque volte Presidente del consiglio. La prima volta nel 1893, l’ultima nel 1920.

L’Italia non sta troppo bene. Dal 1907 l’economia ristagna. Le finanze pubbliche sono in crisi a causa dell’impennata delle spese militari per l’avventura libica che ha innalzato il prestigio dell’Italia sul piano internazionale. Ma del prestigio non si nutrono né i bilanci né le pance vuote degli italiani. Che infatti nel 1913 sono emigrati in 872.000, il record storico. Siciliani, calabresi e veneti se ne vanno. Votano con i piedi. Via dalla disoccupazione, dalla fame, dai padroni esosi ed incapaci, dalla mafia. Nessuno invece è emigrato in Libia, l’inutile scatolone di sabbia di cui i nazionalisti hanno cantato le lodi. “Tripoli bel suol d’amor!” Non cresce nulla in Libia, e di amore ce n’è pochino. Gli arabi non vogliono sottomettersi a un re cristiano.

Sembra l’Italia di oggi, ma è l’Italia nell’aprile 1914, alla fine dell’epoca giolittiana.

Breve riassunto della situazione politica. Nell’ottobre 1913 ci sono state le elezioni politiche, la prima volta con il suffragio universale maschile ma ancora con l’uninominale, che favorisce i notabili e, appunto, i prefetti. Ha stravinto Giolitti, portandosi a casa una solida maggioranza liberale. Ma ha vinto davvero? Le apparenze ingannano. Giolitti ha sempre regnato con coalizioni informe ma stavolta nella sua balena bianca c’è davvero di tutto: cattolici conservatori, liberali di varie sfumature, radicali laici e vagamente di sinistra. E per questo non può reggere. A marzo 1914 il suo governo cade. Non sarebbe la prima volta: Giolitti parte per il Piemonte sogghignando. Molla il governo al successore da lui stesso scelto, Antonio Salandra, sperando che gli tolga qualche patata bollente e che si faccia da parte quando vorrà riprendere il potere. Anche Salandra sogghigna. Capiremo presto perché.

L’Italia non ci vuole. E noi ce andiamo.

I conservatori vedono in Salandra l’uomo per rimettere in riga i socialisti, che con Giolitti si sono allargati troppo. I socialisti reclamano diritti, paghe migliori, giornate di lavoro più corte. Soprattutto, fanno chiasso, minacciano la rivoluzione anche se non sanno come farla né quando. Il paese è attraversato da mille tensioni, nessuna delle quali è in grado di degenerare in una vera crisi del sistema ma si sa, il buon borghese non ha paura della rivoluzione, è scocciato che i treni non funzionino. Ha bisogno di ordine e pasti regolari.

La danza degli scioperi. In aprile ci si mettono tutti gli impiegati pubblici: postini, operai dei tabacchi, impiegati dei ministeri. I più accesi sono i ferrovieri. Le trattative per evitare lo sciopero generale vanno avanti per tutto il mese di aprile. Il governo è disposto a qualche concessione. I sindacalisti accettano, poi ritrattano, infine si dividono tra intransigenti e riformisti, col risultato che, alla fine, i lavoratori escono sconfitti.

Il primo aprile si inaugura la linea telefonica diretta tra Roma e Berlino. Immaginiamo il profluvio di parole sull’amicizia inossidabile tra Italia e Germania tra i ministri delle poste che fanno la prima chiamata. Quella era un’epoca in cui ci si parlava civilmente, pur preparandosi a darsele di santa ragione. Come infatti accadde.

Lyda Borelli. Al cinema dal 1913 al 1918, lasciò un segno nell’immaginazione.

A metà aprile escono a Torino, a poca distanza l’uno dall’altro, due film che segnano la stagione cinematografica, non solo nazionale.

Il 14 aprile debutta “La donna nuda” di Carmine Gallone. Già il titolo torbido è un magnete che richiama le folle. Che vengono ripagati dall’intensa prestazione di Lyda Borelli, la prima grande diva del cinema italiano. La Borelli è sensualità allo stato puro. Un corpo che ammalia. Come scrisse un giovane socialista qualche anno dopo, Antonio Gramsci, “In principio era il verbo… No, in principio era il sesso.” Sappiamo come a va a finire con i bacchettoni. Il pubblico se ne frega allegramente e a frotte ingroppa le file davanti ai botteghini. Del resto, come biasimarli?

Gli anni prima della grande guerra sono l’apice del cinema italiano, che si diffonde in tutto il mondo. Vallo a dire ai produttori di oggi ma nel 1914, con quattro soldi (un film costa in media 50.000 lire, 185.000 euro di oggi), si ragiona in grande. Drammoni storici, molta romanità, patriottismo. Si usa il cinema anche per educare le masse. Il popolo apprezza, si diverte, impara qualcosa, per la prima volta gli italiani hanno la possibilità di vedere qualcosa di diverso dal loro microcosmo di miseria. Sul grande schermo compaiono storie fantastiche, mondi lontani, eroine disperate tradite, nobili in case annegate nel lusso. Possono emozionarsi davanti alle stesse scene, quasi nello stesso momento, dare un volto a Marcantonio e Giulio Cesare, di cui si dice che siamo i discendenti destinati a rinvigorirne le glorie.

Come resistere a questo cartellone?

Il 18 aprile esce a Torino e a Milano “Cabiria”, un peplum ambientato durante le guerre puniche, che è subito un successo straordinario. Il regista Giovanni Pastrone, che aveva già all’attivo il primo kolossal storico, “La caduta di Troia”, non si è posto limiti. Cabiria costa un milione di lire! Ogni cosa è curata, trucchi, costumi, scenografie. E’ una follia di immaginazione, in 12 colori, muto ma con la colonna sonora suonata dal pianista del cinema. Patrone utilizza il carrello alla grande, andando oltre le inquadrature fisse del primo cinema. Anche la durata è colossale, oltre tre ore. Questo è spettacolo. Cabiria farà il giro del mondo. A New York verrà proiettato per un anno intero.

Aiuta anche una geniale trovata pubblicitaria. Cabiria viene spacciata come opera di Gabriele D’Annunzio, che allora era la nostra maggiore gloria nazionale. In realtà il poeta abruzzese ha scritto semplicemente le didascalie. Come sempre, enfatiche ed incomprensibili. In cambio di 50.000 lire buone per calmare i creditori.

A proposito di D’Annunzio, da qualche anno vive a Parigi dove continua a finanziare il suo stile di vita esagerato con altri debiti.Ha un appartamento al quarto piano con vista sugli Champs-Elysée. A fine aprile sparisce dalla circolazione. Cosa succede all’instancabile poeta? Circolano voci che sia ammalato ma non si sa di cosa. Ha preso freddo? Solo un’indisposizione? O è qualcosa di più serio? Un giornalista de La Stampa indaga e dopo aver parlato con la domestica riferisce al pubblico ansioso. “Niente di grave. Il poeta ha bisogno di riposo.” Pochi giorni dopo arriva un suo messaggio. Ha avuto l’influenza. Beh, c’è poco da ridere. A quell’epoca si poteva morire.

Di D’Annunzio c’è poco in questo incredibile kolossal.

Per D’Annunzio stare a letto è stato peggio che qualche linea di febbre. Il vate è già diventato, al tempo della conquista della Libia, il cantore del becero nazionalismo dell’Italia che vuole fare il gioco delle grandi potenze. Non che agli italiani interessi la guerra. Giolitti ha sempre consigliato prudenza. Si era imbarcato nella conquista della Libia con grande riluttanza, cosciente che la guerra avrebbe creato più problemi di quanti ne avrebbe risolto. Ma la moda della bella époque impone che ogni stato che si rispetti debba espandersi. La Germania vuole colonie. L’Austria vuole pezzi di Balcani. La Russia punta ai Dardanelli. L’Italia cerca sfoghi dovunque sia possibile.

Nell’Adriatico l’infante Albania sembra la preda ideale per il nostro imperialismo da parvenu. Nel 1913 è diventata indipendente per caso. A marzo le potenze europee hanno creato un trono albanese e ci hanno installato un principe tedesco, un perplesso Guglielmo di Weid. Intorno al paese delle aquile cospirano Grecia, Serbia, Montenegro e Austria, che è nostro alleato ma che in realtà sospetta delle nostre intenzioni. A Vienna hanno buon fiuto.

A metà aprile, per risolvere il problema albanese, i due ministri degli esteri di Italia e Austria, Di San Giuliano e il conte Berchtold si incontrano ad Abbazia, un piacevole resort sulla costa croata, vicino a Pola, già molto rinomato. All’epoca i vertici erano cose serie. Mica ci si vedeva tutti i giorni. I due parlano per quattro giorni e alla fine si mettono d’accordo per non pestarsi troppo i piedi nell’Adriatico, per rimettere in riga le piccole potenze balcaniche, a dare una minima stabilità all’Albania. Se i Balcani sono calmi, lo sono anche i russi. Se i russi sono tranquilli, la Germania sta di buon umore. E così via. La pace europea si salva a Tirana. E si perderà a Sarajevo.

Certo, non si capisce bene come fanno Italia ed Austria a stare dalla stessa parte. La Triplice Alleanza (Italia, Austria e Germania) è stata appena rinnovata tra scarsi entusiasmi, per inerzia. Siamo comunque amici anche della Triplice Intesa (Francia, Inghilterra e Russia), a dimostrazione che se sei piccolo e di costituzione fragile è meglio non avere nemici.

Come la Domenica del Corriere raccontò la tragedia del “Città di Milano”.

Italia, terra di santi, poeti e adesso anche di aviatori. A dieci anni dal primo volo dei fratelli Wright, anche la penisola è attraversata dai primi aerei prodotti in casa. Si svolazza di qua e di là. Qualcuno precipita. Oltre agli aerei, che sono degli accrocchi fragili, si continuano gli esperimenti con i dirigibili, pericolosi a causa del gas usato per riempirli, l’idrogeno. Il 9 aprile il dirigibile Città di Milano è costretto ad un atterraggio di emergenza a Cantù. A causa del forte vento e degli alberi che ne lacerano l’involucro, il dirigibile viene messo a terra. Si procede a svuotare l’involucro del pericoloso idrogeno tra una folla di curiosi. Quando si è quasi alla fine dell’operazione qualcuno si accende una sigaretta. Potete immaginare il resto. Cinquanta ustionati. Un morto.

Nel campo artistico, a parte il cinema e l’opera lirica, l’Italia produce poco.Il 23 aprile si apre l’undicesima edizione della Mostra d’arte di Venezia (la Biennale), l’ultima prima della guerra. C’è ben poco di interessante. L’artista più interessante è Merardo Rosso, esponente dell’impressionismo italiano. In Europa l’arte è a Parigi e a Berlino. I futuristi sono l’unica avanguardia italiana che valica i confini, anche se il manifesto del 1909 di Marinetti venne pubblicato su Le Figaro in francese.

Se l’arte arranca, lo sport tiene desto il paese. Calcio e ciclismo sono già diventati sport di masse. Domenica 5 aprile ci sono due grandi avvenimenti. Si corre la Milano-Sanremo, 298km sul percorso che fondamentale è lo stesso ancora oggi. I 72 corridori si ritrovano all’alba a Milano dopo una notte di acquazzoni. Il tempo nella giornata sarà per fortuna clemente. Alla partenza alle 6.15 ci sono italiani, francesi, belgi e l’australiano Ivor Munro, capitato chissà come. Favorito è il campione d’Italia Costante Girardengo. La gara dura oltre 10 ore. Alle 4.30 del pomeriggio sono in due a contendersi la vittoria in volata: il triplice vincitore del Giro d’Italia Carlo Galetti e il ventenne Ugo Agostoni, che trionfa staccando Galetti di mezza macchina, come dicono le cronache. La folla straripante straripa oltre le transenne e va a festeggiare i corridori.

Agostoni durante la Milano-Sanremo. Ecco come si correva cento anni fa.

Lo stesso giorno, la nazionale di calcio gioca contro la Svizzera a Marassi, lo stadio di Genova, inaugurato nel 1911. Può ospitare 25.000 persone, il che la dice lunga sulla popolarità che il calcio ha raggiunto in poco più di un decennio. E’ la diciassettesima partita ufficiale della nazionale che gioca in casacca azzurra. Alle 10 di mattina il ricevimento in municipio, con tanto di sindaco e console svizzero. E molti tripudi di trombone tra i calici levati. Alle 15 si apre la partita davanti ad un pubblico foltissimo e disciplinato, che applaude italiani e svizzeri ugualmente. L’Italia è costantemente in attacco, con verve latina, mentre gli svizzeri amministrano con freddezza ed ordine. Apre le marcature Mattea del Casale al 26′ del primo tempo. Sei minuti dopo pareggia Wyss II. Finisce 1-1.

A proposito di Casale. Al termine della quarta giornata del girone finale nazionale, che riunisce le migliori squadre del nord Italia, la squadra nerostellata del Monferrato è in testa a punteggio pieno, inseguita da Genoa e Inter con 5 punti e dalla Juventus con 4 punti. Chiudono Vicenza e Verona con 2 e 0 punti.

Il segretario socialista dal 1912 al 1919, Costantino Lazzari.


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