Ora, il compito principale di noi giornalisti è quello di semplificare ciò che è per sua natura complesso: la politica, più in generale le vicende umane. Semplificare per rendere intelleggibile, semplificare per spiegare, semplificare per far comprendere. Non è semplice, è estremamente difficile. Richiede abilità, richiede competenze.
Ora, da che mondo è mondo, gli stati agiscono – la ragion di stato – in base ai propri interessi nazionali, così come vengono percepiti dalle élites al potere. Sostenere che la Turchia prenda delle decisioni sulla base della simpatia per lo stato X o per lo stato Y non è una semplificazione, è una solenne idiozia. Magari il discorso può valere per uno stato insulare dell’Oceania – chessò, la Micronesia – che deve la propria sopravvivenza alla generosità di qualche sponsor, che ripaga con un sostegno generalizzato all’Assemblea generale dell’Onu; ma per la Turchia, no: la politica estera dell’Akp è basata sulla rivendicazione di autonomia, sulla propria centralità. Come si fa a non capirlo?
Ed è ovvio che – a seconda dei casi, a seconda delle convenienze – possano esserci convergenze con alcuni stati piuttosto che con altri: ma questa è una regola, non un’eccezione turca. Tra l’altro, sostenere che la posizione turca sulla Palestina e su Israele sia “filo-iraniana” ha del demenziale. Ma cosa c’entra l’Iran? Erdoğan ha semplicemente denunciato il doppiopesismo della comunità internazionale – in primis occidentale – nei confronti di Israele (con l’atomica, tutto bene) e dell’Iran (niente atomica e presunto programma nucleare militare, minacce di sanzioni e di interventi armati); e ha ricordato come la politica aggressiva di Israele provoca nella regione – dove la Turchia vorrebbe esercitare la sua influenza politica ed economica – forme endemiche di instabilità.
Ma le agenzie di stampa non dovrebbero limitarsi a presentare i fatti, magari direttamente sul campo e non dal proprio divano, invece di avventurarsi in analisi strampalate che confondono i lettori e rinforzano i pregiudizi?