L’antifascismo crociano
Croce scrisse il manifesto degli intellettuali antifascisti nel ’25, come risposta al Manifesto degli intellettuali fascisti preparato da Giovanni Gentile, per dimostrare la sua netta protesta nei confronti del regime. Egli rivendicò, in primo luogo, il diritto di libertà ideologica da parte di tutti i cittadini ed in particolar modo dei letterati che, da sempre, hanno il compito di criticare la realtà per migliorarla.
Di conseguenza sarebbe un errore gravissimo pilotare l’arte per porla al servizio della politica annullando, di fatto, la libertà di stampa.
E, veramente, gl’intellettuali, ossia i cultori della scienza e dell’arte, se, come cittadini, esercitano il loro diritto e adempiono il loro dovere con l’ascriversi a un partito e fedelmente servirlo, come intellettuali hanno il solo dovere di attendere, con l’opera dell’indagine e della critica e con le creazioni dell’arte, a innalzare parimenti tutti gli uomini e tutti i partiti a più alta sfera spirituale, affinché, con effetti sempre più benefici, combattano le lotte necessarie. Varcare questi limiti dell’ufficio a loro assegnato, contaminare politica e letteratura, politica e scienza, è un errore, che, quando poi si faccia, come in questo caso, per patrocinare deplorevoli violenze e prepotenze e la soppressione della libertà di stampa, non può dirsi neppure un errore generoso[1].
In secondo luogo, Croce criticò il concetto che il fascismo aveva della storia.
Infatti, come si è già detto sopra, egli riteneva che la storia fosse imprevedibile perché legata a processi eternamente dinamici, prodotti dalle azioni degli uomini. Invece, gli esponenti del movimento fascista ritenevano che la storia fosse predeterminata e che, di conseguenza, in nome del progresso, gli uomini dovessero passivamente inchinarsi al suo volere. «L’antistorico e astratto e matematico democratismo con la concezione sommamente storica della libera gara e dell’avvicendarsi dei partiti al potere, onde, mercé l’opposizione, si attua, quasi graduandolo, il progresso; o come dove, con facile riscaldamento retorico, si celebra la doverosa sottomissione degli individui al Tutto»[2].
Inoltre, Croce criticò l’abuso della parola “religione” da parte del regime fascista. I fascisti, avvolgendo il proprio movimento in un alone mistico e rendendolo una pseudo – religione, giustificavano, in suo nome, i crimini più efferati.
Ma il maltrattamento della dottrina e della storia è cosa di poco conto, in quella scrittura, a paragone dell’abuso che vi si fa della parola ” religione “[…] Chiamare contrasto di religione l’odio e il rancore che si accendono da un partito che nega ai componenti degli altri partiti il carattere d’italiani e li ingiuria stranieri, e in quest’atto stesso si pone esso agli occhi di quelli come straniero e oppressore, e introduce così nella vita della Patria i sentimenti e gli abiti che sono propri di altri conflitti; nobilitare col nome di religione il sospetto e l’animosità sparsi dappertutto, che hanno tolto perfino ai giovani delle università l’antica e fidente fratellanza dei comuni e giovanili ideali, e li tengono gli uni contro gli altri in sembianti ostili: è cosa che suona’ a dir vero, come un’assai lugubre facezia[3].
Infine, secondo Croce, il regime fascista strumentalizzò il concetto di amor di patria infangando la memoria dei padri del Risorgimento Italiano e rinnegando i principi liberali in cui essi credevano. Come dimostrato precedentemente, i regimi totalitari, ed in particolare il fascismo ed il nazismo, erano soliti strumentalizzare i sentimenti patriottici per manipolare le masse.
Noi rivolgiamo gli occhi alle immagini degli uomini del Risorgimento, di coloro che per l’Italia operarono, patirono e morirono, e ci sembra di vederli offesi e turbati in volto alle parole che si pronunziano e agli atti che si compiono dai nostri italiani avversari, e gravi e ammonitori a noi perché teniamo salda in pugno la loro bandiera. La nostra fede non è un’escogitazione artificiosa e astratta o un invasamento di cervello, cagionato da mal certe o mal comprese teorie; ma è il possesso di una tradizione, diventata disposizione del sentimento, conformazione mentale e morale[4].
Il forte spirito liberale che albergava nell’animo di Croce gli impose di lottare aspramente contro un sistema politico totalitario che sopprimeva molti diritti umani, privando il singolo della propria libertà. Per questo motivo egli considerava inammissibile qualsiasi forma di totalitarismo. Ricordiamo le battaglie crociane per la costruzione di un partito liberale che affermasse, appunto gli ideali di libertà, perché a suo avviso «la libertà non è un partito, ma una premessa della vita sana e morale di tutti i partiti»[5]. Secondo Croce il liberalismo non era soltanto un’ideologia politica, ma una concezione della vita, in quanto considerava «la libertà una categoria fondante della realtà»[6]. Il filosofo abruzzese riteneva che essa non fosse un principio di diritto ma di fatto e che l’uomo avesse il dovere morale di lottare per la sua affermazione. La concezione che anima il liberalismo è «metapolitica, supera la teoria formale della politica e, in un certo senso, anche quella formale dell’etica, e coincide con una concezione totale del mondo e della realtà»[7]. La libertà, infatti, come la bontà, la bellezza e la verità non risiede nelle cose o nelle Istituzioni, ma nel cuore e nella mente dell’uomo che, di volta in volta, le concretizza con le sue azioni che nelle prime generazioni dei liberali, erano appannaggio delle classi privilegiate, all’interno delle quali si poteva esplicare un’efficace concorrenza sulla base del liberismo e dell’antistatalismo, divenuta nella democrazia un’esigenza universale. Croce descrisse la libertà come momento insito in ogni forma di vita, in ogni attimo della storia e proprio perciò imprescindibilmente connesso al concetto di autorità, «che non sarebbe senz’esso, non potendosi dare autorità se non verso ciò che è vivo, e vivo è soltanto ciò che è libero»[8]. Il filosofo decise di fondare il partito liberale nella speranza di affermare e di diffondere i suddetti ideali, che a suo avviso erano indispensabili per la creazione di uno Stato su misura dei cittadini. Fu proprio partendo da tale concezione che egli non considerò il suo movimento come un partito, giacché riteneva che tale definizione fosse limitativa, ma come un «prepartito»[9], ovvero, un’elaborazione della politica che riuscisse ad adattare la realtà in base alle esigenze del singolo ed alle contingenze storiche legate allo scorrere del tempo. Proprio perché la realtà, e quindi la risoluzione dei problemi immanenti in essa, è legata a caratteri accidentali e quindi imprevedibili fare un programma partitico a priori è, secondo Croce, un atto insensato.
Un programma organico e completo […] è fuori dalla possibilità di ogni mente umana; giacché nessuno potrà mai predeterminare (e particolarmente negli imprevedibili rivolgimenti del mondo odierno in guerra) l’ordine in cui dovranno succedersi le varie risoluzioni, leggi e provvedimenti, perché quest’ordine sarà dettato dalle circostanze, dal corso degli eventi che è sempre pieno di sorprese[10].
Il filosofo si scagliò aspramente contro i politici che sfruttavano la demagogia, facendo promesse irrealizzabili, al fine di ottenere voti. Invece, il partito liberale doveva essere strutturato nel pieno rispetto della sua struttura ideologica, ovvero, affrontando i problemi man mano che si presentavano e perseguendo: «Quello che è il suo fine supremo: l’elevamento della convivenza sociale, il perpetuo accrescimento della attività e della libertà umana»[11] . Croce pose energicamente l’accento sul fatto che il partito liberale non poteva essere collocato ideologicamente né a destra né a sinistra.
Esso non può dividersi in una Sinistra e in una Destra, che sarebbero due partiti non liberali. Naturalmente il Partito liberale esaminerà e discuterà sempre provvedimenti di Sinistra e di Destra, di progresso e di conservazione, e ne adotterà degli uni e degli altri, e, se così piace, con maggiore frequenza quelli del progresso che quelli della conservazione. Ma non può celare a sé stesso quella verità, che la libertà si garantisce e si salva talora anche con provvedimenti conservatori, come tal’altra con provvedimenti arditi e persino audaci di progresso.[12]
Inoltre, Croce ci tenne a sottolineare che la Destra non ebbe a che fare con l’instaurazione del regime fascista, smentendo così un luogo comune che circolava non solo fra il popolo, ma anche fra gli intellettuali stessi. «È un’affermazione non vera che l’avvento del fascismo fu dovuto all’opera della Destra, perché per contrario, il male fu che gli ultimi genuini rappresentanti della Destra (Giovanni Giolitti era un allievo di Quintino Sella) non trovarono nel paese il sostegno adeguato e furono sopraffatti. Troppo onore si da al fascismo donandogli con quel nome quell’alleanza»[13]. La ferma opposizione di Croce nei confronti del fascismo mise in serio pericolo la sua persona. Nessuno era libero di manifestare la propria opinione contro il regime senza subirne le conseguenze. Nei diari del filosofo leggiamo: «La radio fascista e tedesca annunziò, quattro giorni fa, che: “Benedetto Croce e gli altri che come lui hanno abusato della pazienza del regime sarebbero stati rigorosamente castigati”»[14]. Tale dichiarazione non fu soltanto un avvertimento, ma si concretizzò in una spedizione punitiva fascista che il 1° Novembre 1926 devastò la sua casa napoletana.
L’incursione avvenne a notte inoltrata e la casa fu devastata in parte, ma spavento dalla signora Croce non vi fu, perché li trovò occupati a strappare i tasti del pianoforte: il rimprovero che le uscì dalla bocca fu tale che essi si smarrirono e il loro capo li richiamò per condurli fuori. Delle figliuole del Croce solo la prima si destò al rumore e assistette senza dir parola allo scempio che si faceva. Avendole la madre domandato poi se avesse avuto paura rispose di no, ma al padre confessò la sera:«Figurati se non ho avuto paura; ma non era bene mostrarlo»[15].
Tuttavia, l’increscioso gesto non bastò a placare l’ira fascista nei confronti del filosofo. Nello stesso anno, Croce fu radiato da tutte le Accademie governative d’Italia. In questi anni il filosofo abruzzese compì diversi viaggi all’estero, stringendo rapporti personali con alcuni intellettuali, fra cui Thomas Mann.
carteggio Croce-Vossler, klemperer
[1] B. Croce, La protesta contro il «Manifesto degli intellettuali fascisti», in La religione della libertà, Antologia degli scritti politici, a cura di G. Cotroneo, SugarCo, Milano, 1986, p. 212.
[2] Ivi, p. 213.
[3] Ibidem.
[4] Ivi, p. 214.
[5] B. Croce, Contro le confusioni e gli ibridismi, Bari, Laterza 1944, p. 8.
[6] E. Paolozzi, La rivoluzione ingegnosa, Napoli, Guida, 1996, p. 44.
[7] B. Croce, La concezione liberale come concezione della vita, in La religione della libertà, Antologia degli scritti politici, a cura di G. Cotroneo, cit., p.113.
[8] B. Croce, Etica e politica, Adelphi Edizioni, Milano 1944, p. 331
[9] B. Croce, La concezione liberale come concezione della vita, in La religione della libertà, Antologia degli scritti politici, a cura di G. Cotroneo, cit., p.113.
[10]B. Croce, Che cosa è il liberalismo. Premesse per la ricostruzione di un partito liberale italiano, Napoli, Artigianelli, 1943, p. 5.
[11] Ivi, p.5.
[12] A. Cortese Ardias, Croce politico e Croce giornalista. In Lezioni napoletane della Scuola 2005 di Liberalismo, Roma, 2007, p.55.
[13] Ibidem.
[14] B. Croce, Taccuini di guerra, Milano, Adelphi, 2004, p.23.
[15] Carteggio Croce – Vossler 1899-1949, cit., p.323. (In nota).