“L’antiquario” di Julián Sánchez

Creato il 20 settembre 2010 da Sulromanzo
Di Debora Vagnoni
“L’antiquario” di Julián Sánchez (traduzione di Vittoria Martinetto e Thais Siciliano, ed. Einaudi)
Forse non si dovrebbe iniziare a parlare di un libro parlando di un altro libro. Eppure, in questo caso, il richiamo ad un altro autore spagnolo è automatico, perché “l’ombra di Zafòn” aleggia in questo romanzo di Sánchez come un retroscena sotteso, che in filigrana fa trasparire cenni e sussurri di una Barcellona che ancora una volta incanta il lettore. Non credo che Zafòn giochi in questo caso il ruolo dell’ombra di Banquo, però, anzi sembra un modello talmente esplicito per lo scrittore, tanto da poterci giocare. Per chi ha amato le atmosfere di “Marina”, o de “L’ombra del vento”, questo romanzo di Sanchez può apparire inizialmente un facile succedaneo, e fin dalle prime pagine ci si stupirà di ritrovare gli ingredienti più fortunati di Zafòn: il protagonista scrittore introverso e immaginoso, le figure femminili incantevoli e sfuggenti, e soprattutto l’archetipo della biblioteca, il luogo misterioso di raccolta di una cultura onnicomprensiva e così determinante da scatenare morti e omicidi. Sánchez sfiora così uno dei generi del momento, il giallo letterario, ma lo rielabora con leggerezza, senza eccessi intellettualistici, permettendosi anzi una certa disinvoltura nella mimesi di un testo medievale, il cui linguaggio suona al lettore estremamente moderno e scorrevole. 
Il primo capitolo si apre con una descrizione efficace del quartiere degli antiquari di Barcellona, per poi restringere la scena sul negozio di Artur Aiguader, libraio e antiquario: immediatamente si scopre che non si tratta di un normale negozio di antiquariato, ma anche di uno studio, in cui Aiguader, filologo e storico autodidatta, svolge le sue attività di classificazione e ricerca. L’ambientazione è quella di una Barcellona attuale, di cui l’autore ci fa vivere la vicinanza del mare, facendoci familiarizzare con il linguaggio della vela, tra fiocco e randa e navigazioni solitarie. Il motore della vicenda è l’omicidio perpetrato ai danni di una persona cara al protagonista, che segna il ritmo della storia fin dalle prime pagine. Sarà poi il protagonista stesso, lo scrittore Enrique, ad affrontare con coraggio e talvolta con ingenuità il tentativo di smascherare l’identità assassina, con l’aiuto della sua ex-moglie Beatrice. 
La trama è intricata quanto basta da avvincere, i personaggi tratteggiati abbastanza profondamente da farne intravedere le psicologie: sulle dinamiche dei personaggi aleggiano come nella migliore delle tradizioni Eros e Thanatos, amore e morte, nonché il tema dell’amicizia e delle donne amate rivali tra loro; una figura particolarmente riuscita sembra quella dello studioso cui si ricorre per decifrare l’ennesimo mistero filologico (in cui Sanchéz ha voluto adombrare i tratti della Sindrome de Asperger? È un’ipotesi), personaggio umbratile ma decisivo che compare in un momento-chiave dell’intreccio. Il lettore sarà poi coinvolto nell’indagine attraverso gli occhi stessi del protagonista, che suo malgrado dovrà addentrarsi nei misteri iniziatici di una cultura misteriosofica e cabalistica.
Insomma, il lettore di Zafòn troverà uno stile più asciutto, senza le atmosfere grondanti misteri e magie, senza barocchismi e fantasie immaginifiche: un prodotto decisamente più commerciale, dunque, senza essere per questo di maniera e senza scadere nell’imitazione da catena di montaggio che si trova in tanti romanzi di genere. E, in ogni caso, sarà piacevole farsi portare per mano in una Barcellona moderna ma suggestiva, ancora una volta custode inconsapevole e seduttiva di antichi misteri.

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