L’ANTITEORIA DELLE FEMMINE – 8 marzo, poesia e resilienza

Creato il 07 marzo 2015 da Met Sambiase @metsambiase

(c) Shannon Bool

E’ stata una donna , Emmy Werner, a scardinare le teorie deterministiche, ed è stato Garmery a creare il termine resilienza, definendo “ per la prima volta con questo termine il processo attraverso cui determinate persone riescono a superare situazioni di disagio anche molto gravi. I successivi studi hanno ampliato il concetto, affermando che la resilienza è possibile non soltanto da parte di singole persone ma anche da gruppi e comunità” (Bianca Pileri) . Scardinare ogni stereotipo depositario di sofferenze e ingiustizie, sabotare la stasi dell’accidia verso il conformismo deterministico. Pochissime parole, ma tutte dedicate alla giornata delle donne, che è ben diversa dalla sua commercializzazione di “festa della donna”. E’ questa una giornata per evidenziare tutti gli sfavori dedicati al genere femminile, senza paura di attraversare il percorso sociale di parità (di carriera e di parità economica in primis, visto il clima di povertà che aleggia nel mondo del lavoro italiano), lasciando per un attimo fuori ogni altro fattore. Dedicato a chi ogni giorno trasforma un mondo di disagio familiare, sociale ed economico in un processo di cambiamento positivo, attraversando i fuochi di vari inferni per costruire ponti verso realtà terrene di speciale normalità ed equilibrio, e tenendo intatto il mondo, tutto sommato.

SIMIN BEHBAHANI
(detta La Leonessa, poetessa iraniana)
TI RICOSTRUIRO’ DI NUOVO, MIA PATRIA

Ti ricostruirò di nuovo, mia patria
anche con mattone della mia vita
ti appoggerò sulla colonna
colonna fatta con le mie ossa
ancora ti racconterò dei fiori
per i tuoi giovani
ancora diventeremo sangue per te
e diluvio con le nostre lacrime
Se sarò morta da cento anni
mi alzerò in piedi dalla sepoltura
per combattere i tuoi malevoli
se sono vecchia oggi
avendo possibilità di imparare
comincerò la gioventù
insieme con i giovani.

CARMEN YANEZ
(Cilena, scampata rocambolescamente alla morte dalla polizia politica di Pinochet, moglie di Luis Sepúlveda)

VIAGGIO
Di notte si inventano
corsieri di sogni.

Il corpo e l’anima
si ormeggiano facilmente
alla coda dei treni taciturni.

DONNA
Quanto hai dato donna:
secoli di luce
che non hanno riflesso le coscienze
ingoiate da abissi di silenzio.

E quanto ancora:
radici per contenere la terra
velluto d’amore
una spiga per toccare il cielo
fertili semi di coraggio
per un mondo abitato dalla guerra.

E quanto ancora.

Dai tuoi occhi
albe e nebbie,
revisione del giudizio
nella speranza dei fiori.
Piccola di piccole cose
recuperate dall’infanzia
nella scrittura dei sogni.

E quanto ancora.

Foglie che coprono il pudore dell’universo
laghi generosi di acque vergini
spessore del segreto
delle profonde radici del tuo tempo.

Quanto autunno
inondando la terra
e un colore crepuscolare
nella corteccia.

TULLIA D’ARAGONA
(Ferrarese, figlia di una cortigiana, in uno dei suoi sonetti più famosi, a Bernarndo Ochino, dove la poeta cinquecentesca si ribella contro la misoginia del riformatore cappuccino)
XXXV.
A Bernardo Ochino
Bernardo, ben potea bastarvi averne
co ‘l dolce dir, ch’a voi natura infonde,
qui dove ‘l re de fiumi ha più chiare onde,
acceso i cuori a le sante opre eterne;

che se pur sono in voi pure l’interne
voglie, e la vita al vestir corrisponde,
non uom di frale carne e d’ossa immonde,
ma sete un voi de le schiere superne.

Or le finte apparenze, e ‘l ballo, e ‘l suono,
chiesti dal tempo e da l’antica usanza,
a che così da voi vietati sono?
Non fora santità, fora arroganza
torre il libero arbitrio, il maggior dono
che Dio ne diè ne la primiera stanza.

(c Loredana D’Argenio

ANGYE GAONA
(Colombiana, attivista per i diritti umani, arrestata dalla polizia e tenuta in carcere per sei mesi senza prove)

L’APPELLO
Attenzione, Signori: non c’è più casa.
Solo questa: quella che vedono e calpestano.
Non c’è più,
venite tutti a vedere.
Avvicinate orecchio e cuore alla Terra,
considerate, Signori, il peso dell’età
duecentocinquantamila anni, e guardate:
non c’è più casa.
Che cosa farete?
Presumibilmente:
siederete su le corone,
rovescerete i calcoli,
cuocerete il cancro
nei forni del governo.
Il fumo che ascende,
arrogante e rapace,
è sufficiente a dare la notizia:
la rovina è nell’aria.
Direte: la borsa, il crollo…
In quel momento sentirete:
Viene l’hums, giunge
Il muschio a fecondare
questo ovulo che galleggia!
In quel momento, Signori, vedrete:
la Terra senza artifici,
senza rivestimento né controllo,
la Terra che a suo modo vi ripeterà:
non c’è più casa,
avanzando sopra le scuse,
sopra i bilanci, sopra i guadagni,
obbligando il proprio ordine verde e celeste
a prendere la casa
e a porre ogni cosa
al suo posto.

Per non spegnere l’attenzione sulla vicenda della poeta cilena, Valeria Raimondi ha dedicato una sua composizione, che qui ospitiamo

ANGYE GAONA, COLPEVOLE DI POESIA

Avevo solo le mie parole.
Ma le mie parole fendevano il ventre molle del potere,
allora mi cucirono le labbra, mi vestirono delle loro colpe infami e dei loro abiti lerci.

Avevo solo le mie parole, leggère
ma le mie parole facevano troppo rumore, come sogni colorati, e coprivano i loro spari
quindi le imprigionarono dentro mura mute affinché altri non sognassero con me.

Avevo solo le mie parole, crude
puntate sulla loro vergogna
e le mie parole squarciavano il velo osceno,
e fu allora che tagliarono la mano che impugnava la lama.

Avevo solo le mie parole, appena nate
che si alzavano in volo nella loro fetida aria
e allora mi tolsero l’aria,
mi rinchiusero affinché respirassi la loro.

Avevo solo i miei versi, liberi,
e la mia verità si aggrappava come edera ai loro piedi piantati nel fango
e divenni dunque la più forte delle minacce
e misero a tacere me, la libertà e la poesia.

Avevo solo le mie parole innocenti, di poeta, di donna
ma poiché la poesia urla nel silenzio assordante
e come una donna può partorire figli e seppellire i morti ,
delle mie parole ebbero infine così folle paura
che fui detta “colpevole” e vollero ricacciarmele in gola.

Ma non posso ancora tacere.
Ho solo le mie parole, fatele vostre.
Perché si sappia di che stavo parlando.
Perché ho sempre detto solo ciò che da qui ho potuto vedere.

Valeria Raimondi

(c) Mira Hnatyshyn

FADWA TUQUAN
(Palestinese, ha cantato la sofferenza del suo popolo)

SOSPIRI DAVANTI ALLO SPORTELLO DEI PERMESSI

Fermarmi sul ponte a mendicare un permesso!
Ahimè! Mendicare, sì, un permesso di attraversata!
Soffocare, perdere il fiato
nel caldo del mezzodì!
Sette ore di attesa…
Ahi! Chi ha rotto le ali del tempo?
Chi ha paralizzato le gambe al giorno?
Il caldo mi flagella la fronte
e il sudore mi colma gli occhi di sale.
Ahimè!
Migliaia di occhi
sono fissi con calorosa ansia
allo sportello dei permessi;
sono specchi di angoscia,
titoli di ansia e di pazienza.
Ahimè! Mendicare un permesso
!E la voce di un militante straniero
scoppia furiosa come uno schiaffo
sul volto della folla:
«Arabi…Disordine…Cani!
Tornate indietro!

Non venite vicino al cancello!
Indietro!…Cani!…»
Una mano sbatte con rabbia lo sportello dei permessi,
chiudendo ogni possibilità,
in fronte alla folla che preme.
Umiliata la mia umanità,
pieno di amarezza il mio cuore
e il mio sangue è tutto veleno e fuoco!
«Arabi! Disordine! Cani!»
O santa vendetta del mio popolo offeso!
Ormai ho solo da attendere,
ma il momento giungerà…
il momento della giustizia e della vendetta!
FUGA
Hai odiato la realtà della gente
e ti sei tuffata con l’immaginazione
nel mondo della fantasia;
vivi soltanto di visioni, di sogno, di ombre;
figlia della fantasia, quando esci
da questo mondo immaginario?
Svegliati, ti è bastato
questo viaggio fantastico
nel miraggio del deserto.
Tu vivi perduta nel mondo dei sogni
in un orizzonte remoto e strano
e riempi la tua anima prigioniera
del canto nostalgico e desioso dell’esule.

tu vivi con la fantasia fuori dal mondo
superando il corso delle stelle
e penetrando
nell’immensità misteriosa dell’infinito
Non appartieni a questa terra.
Perché vuoi proiettarti in alto, fuori di essa?
Ti ha forse spaventata il sangue che si sparge
sulla terra e la tirannia dei forti
che opprimono i deboli e i grandi disastri?
Ti ha spaventata la durezza della vita
e la lotta fra gli uomini?

In chiusura una piccola poesia di sostegno della poeta siciliana Laura La Sala.

Le donne Libanesi
nun vanno dall’estetista
nè dal parrucchiere
coperto è il viso
il grido è negli occhi
e il burca fino ai piedi

Le ragazze dell’Islam
non vanno in discoteca
seguono le madri,
nè conservatorio
coltivano e mangiano radici
Non cè un calendario di festività
patiscono la guerra
come la fame e il giorno,
che forse non verrà

Le donne Nigeriane
amano i loro figli
che sanno di petrolio, conflitto,
L’occidente che non è mai contento.
Sotto quel velo c’è un colpo di mortaio
e musica rok di bombe a domicilio

Distrutti dalla guerra
con il morale a terra
ora anche i bambini
si chiama assassini
con mitra e bombe a mano
questa è la loro scuola.

La donne dell’islam
Turchi Isdrailiti
Curdi Pakistani
con gli occhi nel terrore,
amano senza velo


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