L’apertura di una discarica tra legge, informazione e consenso

Creato il 16 aprile 2013 da Greeno @greeno_com
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| di Ilaria Sgrò |

Parlare di comunicazione ambientale è, per noi della redazione di Greeno, riabilitare una possibilità primordiale, da manuale, quasi paradossale: quella che l’informazione informi finalmente sui fatti, invece di informare i fatti.
Proprio il discorso attorno all’ambiente, infatti, si costruisce intorno ad una consapevolezza che in altri ambiti comunicativi è ancora nascosta, se non addirittura latitante: il grado di expertise e di autodeterminazione di chi “comunica” è chi “è comunicato” stanno profondamente cambiando.
Questi processi, però, non possono reggersi sull’immissione di sole informazioni. Devono innestarsi su una nuova idea sistemica in cui informazione, educazione e comunicazione trasformino il tema ambientale in uno spazio open source, dove nessuno dei partecipanti (dal cittadino alle pubbliche amministrazioni alle imprese) sia ridotto alla figura del “convitato di pietra”.
Per questo, e alla luce del dibattito sull’entrata in funzione dell’inceneritore di Parma, pubblichiamo con piacere il contributo che ci è arrivato da Ilaria Sgrò, su una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Buona lettura. La redazione di Greeno.

Uno dei più annosi problemi che attanagliano la nostra nazione, la gestione dei rifiuti, ha avuto nel mese di gennaio un importante risultato positivo: la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che la cittadinanza interessata non può più essere estromessa dalla deliberazione sull’apertura di una nuova discarica.

La decisione (emessa con una sentenza del 15 gennaio 2013, causa C-416-2010) è stata presa in merito a un caso particolare in Slovacchia, ma ha valenza anche nel nostro paese. Le istituzioni interessate alla realizzazione di una discarica devono coinvolgere i cittadini, sin dal momento in cui tutte le opzioni possibili sono contemplate e non possono appellarsi alla riservatezza su certe informazioni commerciali e industriali per nascondere il provvedimento che contiene l’assenso urbanistico edilizio alla realizzazione dell’impianto. Il diritto alla conoscenza sia dell’incipit di questo tipo di procedimento che di tutto il suo iter è fondamentale e innegabile: queste le considerazioni del fondatore dello “Sportello dei Diritti” Giovanni D’Agata.

La sentenza fa riferimento a quanto riportato sia nella Convenzione di Aarhus del 1998 riguardo il rilascio dell’autorizzazione per l’apertura di una nuova discarica, sia nella direttiva 96/61/Ce sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (articolo 15): le autorità nazionali competenti sono dunque obbligate a informare la cittadinanza. È altresì vero che il rifiuto illegittimo può essere sanato in corso d’opera (nel secondo grado del procedimento amministrativo), purché tutte le alternative siano ancora praticabili e che la regolarizzazione in tale fase procedurale consenta al pubblico di esercitare un’influenza effettiva sull’esito del processo decisionale; altrimenti la violazione comporta l’annullamento dell’intero procedimento.

Un diritto conquistato quasi come se si trattasse di un’eccezione, laddove dovrebbe essere la norma: in materia ambientale ancora si fatica, anche a livello europeo, a far conciliare i fatti con le parole. I trattati e le convenzioni esistono, ma pare di imbattersi in imprese titaniche nel momento in cui i regolamenti devono essere applicati. E in materia di discariche l’Italia indossa, come spesso accade, la sua affezionatissima maglia nera: siamo tra gli ultimi paesi in Europa (vicini a Spagna, Portogallo e Grecia) per costo di smaltimento di rifuti e bassa diffusione della raccolta differenziata.

Il costo dello smaltimento dei rifiuti è molto alto e varia da città in città: per questo motivo l’Italia esporta larghi quantitativi di immondizia all’estero, che propone un’ottima concorrenza. Il motivo è semplice: chi possiede un inceneritore ha tutto l’interesse di bruciare rifiuti in quantità perché, se dovesse bruciarne in numero inferiore, non solo andrebbe a consumare più energia, ma inquinerebbe maggiormente con la produzione di diossine.  Gli ambientalisti e tutti coloro che professano teorie green friendly, voterebbero per la chiusura immediata delle discariche: costano e inquinano.

Il grave problema è che l’attraente alternativa proposta nel 1997 dal decreto Ronchi delle cosiddette “quattro R” (riuso, riciclo, riduzione, recupero) sembra essere un qualcosa appartenente a un futuro apparentemente lontano. In un paese dove ancora si lotta con la chiusura delle discariche legali (per i più disparati motivi), con la scoperta di sempre nuove discariche abusive e con una raccolta differenziata che stenta a carburare, tutti i nobilissimi obiettivi green sembrano un miraggio. Oggi in Italia possiamo dirci soddisfatti per una decisione di coinvolgimento della cittadinanza sull’apertura di nuove discariche, mentre alcuni dei nostri vicini di casa europei ogni anno producono quantitativi sempre minori di immondizia e si dirigono sempre più verso l’utilizzo di energie rinnovabili.


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