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Parlare di apocalisse quando si presentano tali disastrosi eventi non ha senso. Cosa ci rivela, infatti, un terromoto che già non sappiamo? La vita... meglio: la consapevolezza di vivere è già, di per sé, apocalisse. La nostra quotidianità è apocalittica, ma questo tendiamo a nasconderlo. Ci dimentichiamo troppo spesso della nostra realtà transuente. L'apocalisse riguarda tutti, singolarmente. Per carità, non sono tra coloro che invocano la paralisi dei desideri e delle azioni, unita all'assenza di passioni; così come, all'opposto, non professo il delirio dei sensi e la ricerca forsennata del piacere. Per quanto vi riesca, sto nel mezzo, caro Orazio, devoto alla tua aurea mediocritas – ma questo non per pavidità o tiepidità (spero) ma, appunto, perché cerco di vivere l'apocalisse tutti i giorni: l'apocalisse del mio scorrimento.Apocalisse significa riportare il senso nell'alveo della nostra vita – compito improbo, data l'evidente forza centrifuga del senso, che cerca sempre un altrove per essere soddisfatto (da qui derivano i vari tipi di aldilà sempre pronti alla bisogna). Tenere il senso chiuso dentro il cul de sac della nostra vita equivale a esercitare quotidianamente la nostra mente alla consapevolezza dei limiti insiti nella natura umana. Ecco l'Apocalisse, ecco la Rivelazione: toccare il nostro corpo, dall'alluce alla cisti sebacea che spunta sulla cima di qualche cuoio capelluto, e sentire in quell'attimo che il nostro corpo, già domani, sarà un altro, e un altro ancora, e ancora... finché uno tsunami... - Caro, togliti la mano dai pantaloni, è maleducazione.