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L’apocatastasi bergogliana

Creato il 19 gennaio 2016 da Malvino
Cercherò di renderla semplice e breve, perché, a trattarla come si dovrebbe, la questione dell’apocatastasiprenderebbe pagine e pagine, mentre qui la evoco solo per la sua relazione con la peraltro controversa faccenda dell’illimitatezza della misericordia divina, che troverebbe una insanabile aporia nel limite impostole dal fatto che Dio sarebbe anche somma giustizia, con quanto di inesorabile vè nella somministrazione della pena, soprattutto se eterna. Cè chi afferma, in realtà, che l’apocatastasi sia da intendersi come il compiersi della definitiva sovranità di Dio sulla totalità dell’Essere, nella quale, dunque, non avrebbe senso rappresentare alcun genere di contraddizione o, ancor peggio, di conflitto tra piena giustizia e infinita misericordia. Di fatto, tuttavia, pare di piana evidenza che il Sommo Bene non possa esercitare la sua piena sovranità sulla totalità dell’Essere senza che il Male sia annullato nelle cause e negli effetti, e che in sostanza non possa esservi apocatastasi laddove il peccato lasci traccia di sé fosse pure nella sola espiazione della colpa. Tanto basterebbe a quanto ci serve, ma nel caso vogliate approfondire, vi suggerisco quanto ne ha scritto Vito Mancuso ne Lanima e il suo destino (Raffaello Cortina, 2007) e quanto ne ha detto monsignor Manfred Hauke in una lectio che non faticherete a trovare su Youtube (Apocatastasi della Chiesa antica), meglio se dopo aver dato una scorsa al lemma su Wikipedia, tutto sommato abbastanza precisa e con un discreto corredo bibliografico a supporto. A renderla semplice e breve, invece, qui basterà dire che, se fosse mantenuta la promessa che alla fine dei tempi vi sarà una restaurazione (αποκαταστασεως) di tutti e tutto in Dio (At 3, 21), dovremmo aspettarci una redenzione universale che escluda ogni possibilità di dannazione eterna: per quanto a lungo possano durare, infatti, i sæcula sæculorum sono tempo di cui è certo si avrà una fine, oltre la quale, perché la promessa sia mantenuta, anche il più grave peccato dovrà trovare perdono, al punto che lo stesso Satana si ravvederà e si convertirà, sicché linferno che il Catechismo della Chiesa Cattolica definisce come «separazione eterna da Dio» (1035) non avrebbe senso se non nei sæcula sæculorum che danno la misura di una «eternità» che è comunque un concetto temporale, ma non dopo di essi, quando i tempi avranno avuto la loro fine Volendo, ve ne sarebbe abbastanza per dare una solida base teologica allinfinita misericordia divina che è il gonfalone di questo pontificato, e che fa impazzire gli orfani di Ratzinger, nutriti per otto anni dalla solida certezza che a ogni peccato debba necessariamente corrispondere una pena, salvo il pentimento che ristabilisca la perfetta coincidenza di Buono, Giusto e Vero: un misericordia infinita rende superfluo il pentimento, con quanto ne consegue in detrazione alla Verità, in sospensione della Giustizia e, ciò che è peggio, in perdita di quella cogenza precettistica che sta nel Bene come retta via da seguire per evitare punizioni. Che fine potranno mai fare i comandamenti di un Dio che, dovendo reintegrare tutti nella totalità dellEssere di cui sarà sovrano, sappiamo che perdonerà comunque ogni peccato? Se non è vuoto, l’inferno dura appena per l’eternità che precede l’apocatastasi? E chi sarà persuaso dal non peccare, o dal pentirsi dopo aver peccato, sapendo che un Dio infinitamente misericordioso alla fine dei tempi chiuderà un occhio? Il problemino – perché un problemino c’è – nasce dal fatto che l’apocatastasi è un’eresia ripetutamente condannata nel corso della storia della Chiesa, ma nessuno riesce a costruire per Bergoglio un capo d’accusa che la additi a substrato della sua pastorale. Probabilmente neanche sanno cosa sia. 

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