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L’apparenza ingannevole e le interpretazioni al cinema

Creato il 25 marzo 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

metropolis_2_01Nietzsche afferma che non esistendo un ordine obiettivo della realtà non esiste neppure una conoscenza “oggettiva” della medesima. La conoscenza del mondo verte su prospettive che sono diverse per ciascuno. Sono punti di vista, appunto interpretazioni. Il mondo non ha dietro un senso ma innumerevoli sensi, ha una conoscenza ermeneutica. Ma la verità allora esiste?

Partiamo da Platone. Per il filosofo della caverna la verità delle cose viene posta nelle idee; poi con il cristianesimo la verità delle cose è posta nell’aldilà. Kant afferma che la verità delle cose risiede nella mente; Comte giudica verità solo il fatto positivamente accettato; Nietzsche pensa che ciò che esiste sia puro gioco di forza, conflitto fra interpretazioni che non possono richiamarsi ad alcuna norma oggettiva per decidere sul vero. Heidegger accetta la conclusione nichilistica che alla fine il mondo vero scompare e viene sostituito dal mondo dell’organizzazione tecnologica dove l’uomo ovviamente è puro oggetto di manipolazione.

 

In un’intervista di Ennio Galzenati rilasciata il 23 giugno 1993 nella sede della Vivarium di Napoli il professor Vattimo, sostenendo che ormai nemmeno il modello della scuola di Francoforte (parlando dell’ organizzazione totale di Adorno) è più “idoneo” al modello di tecnologia avanzata in cui viviamo oggi, afferma:

“(…)La molteplicità delle agenzie di informazione nel nostro mondo, che forse è sempre esistita, ma non così largamente come oggi, è diventata così esplicita, che noi oggi sappiamo di vivere in un mondo di interpretazioni, non in un mondo di realtà date” .

Allora anche la verità è interpretazione? Pirandello direbbe “Così è si vi pare”, Wittgenstein afferma “Io sono il mio mondo”; quante volte ci capita di vedere scene o fatti  in cui interpretiamo in modo diverso le situazioni?

Facciamo un esempio che Arnheim riporta nel suo libro Film come arte:

 

L’esemp

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io è preso da una delle comiche più brevi (di Chaplin). Charlot è stato abbandonato dalla moglie perché è un ubriacone. Sta in piedi, voltando la schiena alla macchina da presa, accanto a un tavolo su cui c’è una fotografia della moglie. Le sue spalle si sollevano, pare che singhiozzi amaramente. Un momento dopo si volta. E allora si vede che le sue spalle si scuotevano perché stava agitando uno shaker per prepararsi un cocktail” .

Vedendo per la prima volta e solo la primissima parte della scena interpreteremo che Charlot è disperato per l’abbandono della moglie, subito dopo capiremo invece che non lo è affatto .

In questo caso l’inquadratura è stata fatta a posta per ingannare lo spettatore; ma di scene “ingannevoli” se ne possono trovare ovunque, come nei film così nel mondo; basta un particolare e le nostre interpretazioni cambiano.

Ma se la realtà esiste, essa è esattamente come la percepiamo? Sembrerebbe proprio di no visto che ogni specie (sia animale che umana) possiede dei recettori necessari per adattarsi al proprio contesto, quindi varia la percezione del mondo da specie a specie, ma penso che cambi anche da uomo a uomo in base al proprio bagaglio di esperienze.

Ogni cambiamento, ogni innovazione ogni qualcosa in genere porta ad una interpretazione. La verità è solo un fatto interpretativo. Qualcuno direbbe che l’illusione non si combatte con la verità in quanto porta ad una illusione raddoppiata, bensì si combatte con un’illusione più forte. Questa visione radicale di illusione del reale risponde ad un’ironia oggettiva e di descrizione patafisica .

In un mondo dove le cose succedono ad una velocità assurda e inimmaginabile, in cui la tecnologia impone in alcuni versi il suo carattere più macabro, il confine tra reale e non è sempre meno percepibile.

Lèvi-Strauss distingueva le culture antropofagiche dalle culture antropoemiche; le prime  introiettano e assorbono, le secondo espellono e cacciano fuori. Oggi sembra realizzarsi una sintesi tra le due, tra integrazione e spinta (dato che il sistema ci espelle, man mano che ci integra). Siamo contemporaneamente assorbiti e totalmente espulsi.

Al cinema l’illusione può essere visiva ma può anche essere legata alla percezione e alla narrazione; si può ingannare il lettore anche attraverso le scelte di narrazioni. Nel caso delle immagini è ovvio che esse non sono false in sé ma sono predisposte a fornire una fallace, un’illusione, una comunicazione o un effetto ingannevole.

 Valentina Leone 


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