#02|07.2012
Se abitate tra Porto Sant’Elpidio e Bologna (cioè in una o entrambe le città, più che “in mezzo”) potreste essere incappati in una “rivista gratuita autofinanziata” chiamata «l’appendice», un periodico realizzato da alcuni miei amici con cui ho l’onore e il piacere di collaborare. La mia caricatura di Ratzinger è ancora in stand-by, ma già nel numero di luglio trova spazio un racconto a cui tengo particolarmente, Marionuel.
I miei contributi sono piccole tessere che vanno a unirsi, sul modello de «Internazionale», a quelle dei vari collaboratori più o meno occasionali del periodico (nel senso che “esce un po’ quando cazzo ci pare”, cit.), per creare ogni volta un mosaico di voci d’inchiostro che urlano al vento tutta la propria rabbia, creatività, voglia di cambiamento.
Ma perché dar vita a una rivista autofinanziata? Ce lo spiega sticazzissimi nell’editoriale del primo numero, sotto un altro dei suoi infiniti pseudonimi.
-m4p-
Le ragioni dell’Appendice
Perché sì. Potrebbe essere una risposta. Ma sarebbe troppo spocchiosa. Oppure, perché non abbiamo un cazzo da fare. Ma non sarebbe vera. Perché vogliamo impratichirci senza avere troppe responsabilità. In parte è vera, ma non del tutto. La risposta giusta è più profonda e complicata. Lasciamola appesa per adesso.
Noi nati alla fine degli anni ottanta siamo una generazione un po’ sfigata. Abbiamo goduto dei colpi di coda del benessere della classe media, per i primi anni di vita. Poi, nella prima decade degli anni duemila, abbiamo vissuto in una situazione a dir poco strana. Noi crescevamo, fisicamente ed intellettualmente, ma la società in cui vivevamo non cambiava affatto (“l’eterna transizione”, la chiamerebbero gli scienziati della politica). Ora ci ritroviamo nel mezzo della giovinezza, nel pieno delle nostre forze, vogliosi di sfondare, spaccare e ricostruire il mondo. Ma siamo inficiati dall’humus nel quale ci siamo formati. Siamo come dei pesci in apnea! Se è vero che le condizioni ambientali determinano lo sviluppo di una forma di vita, allora è vero che dobbiamo fare un gran lavoro di disintossicazione. Dobbiamo disimparare le verità acquisite durante la nostra vita, per metterle in condizione di relatività nei confronti degli eventi che quotidianamente cambiano il mondo. In un momento come questo, nel quale si stanno ridefinendo gli equilibri delle relazioni internazionali, è opportuno più che mai, essere pronti al cambiamento. Da figli degli Stati Uniti d’America, potremmo diventare gli schiavi della Cina. Spetta a noi decidere ciò che saremo. Il sistema capitalistico non è il migliore, il peggiore, o il frutto della selezione naturale dei sistemi che organizzano la vita degli esseri umani. È il sistema nel quale siamo nati e cresciuti, ma non per questo è destinato a sopravvivere per sempre. È una creazione dell’uomo, per questo modificabile, e soggetta anche alla morte.
Questa rivista non è altro che il luogo virtuale dove si incontrano saperi di tutti i tipi, che in qualsiasi modo possano aiutare a leggere in maniera critica il presente, e che siano da esempio per muoversi in maniera costruttiva in futuro. Quindi ospiteremo tutte le coscienze che pensano di aver qualcosa di interessante da dire sul mondo, o che hanno una idea affascinante per cambiarlo. Le idee viaggeranno on-line e su carta. Nei luoghi dove i lettori le porteranno.
In conclusione allora, perché fondare una rivista? Perché più che mai, abbiamo bisogno di esprimerci ora, in questo momento di oppressione della libertà, aspettando di trovare il prossimo stage non retribuito o il prossimo lavoro da sfruttato precario senza diritti. Perché se non lo facessimo, non resterebbe che la rassegnazione. Oppure la possibilità di emigrare. O peggio ancora, di imbracciare le armi. Scegliamo di non optare per la prima possibilità, in attesa di sfruttare la seconda, sperando di non dover praticare la terza.
Riccardo Dè Marchi
#01|04.2012
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