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Avevamo lasciato il sagace produttore Jerry Bruckheimer che cercava invano di ritrovare la vena d'oro di “Pirati dei Caraibi” con il mediocre “Prince of Persia”. Eccolo di ritorno, e stavolta gli è andata molto meglio:“L'apprendista stregone”, diretto da Jon Turteltaub, è un eccellente fantasy avventuroso, e anche più facilmente serializzabile che “La maledizione della prima luna”. Non per nulla un breve accenno post-credits (riservato a chi ha la mezzora per guardarseli tutti) preannuncia il sequel.
Il ciclone Harry Potter ha cambiato per sempre la letteratura e il cinema per l'infanzia (delle varie opere che mostrano la sua influenza la più riuscita, sebbene un po' scoperta come imitazione, è “Percy Jackson e il ladro di fulmini”); e c'è qualcosa di Harry Potter anche ne “L'apprendista stregone”. A partire dal concetto base: uno sfortunato pieno di dubbi su se stesso viene scelto per apprendere la magia e scopre addirittura di essere l'Eletto (qui, il sommo Merliniano) destinato a salvare l'umanità: Morgana le Fay, l'avversaria storica del mago Merlino, è imprigionata da secoli coi suoi accoliti in una prigione magica a forma di matrioska; ciascuno col proprio apprendista, il mago buono Balthasar (Nicolas Cage) difende la prigione, il mago cattivo Horvath (Alfred Molina) vuole liberare Morgana e aiutarla a distruggere il mondo. Come Harry Potter, Dave (Jay Baruchel) sente il peso di questa responsabilità che non ha chiesto, e gli piacerebbe rinunciare. E' altresì “potteriana” la capacità del film di elaborare l'universo magico delineando un complesso di regole e di figurette vivaci, con un umorismo gentile. Deliziosa l'eleganza deadpan del perfido Horvath, impagabile il suo disprezzo per il suo aiutante, un cialtroncello che usa la magia per far carriera come prestigiatore (rimprovero: “Hai mai visto Morgana estrarre un coniglio da un cappello?”).
“L'apprendista stregone” non raggiungerà vertici di profondità ma è mosso, brioso, pieno di gusto della narrazione e di amore per il cinema – che spunta nell'omaggio a Buzz Lightyear in forma di sveglia del protagonista da bambino (è anche un'autocelebrazione della Disney, che produce), nella citazione di “Star Wars” che fa sbuffare Horvath, nella graziosa trovata di Dave che disegna King Kong sul finestrino appannato dello scuolabus in modo che quando il bus passa davanti all'Empire State Building si ricrei la scena dell'arrampicata: qui Dave si è fatto da solo il suo trucco cinematografico: in un certo senso ha reinventato il matte shot. E il laboratorio del protagonista da adulto, con le “bobine di Tesla” che producono giganteschi lampi, resuscita una vecchia icona cinematografica: è la weird science del dottor Frankenstein. Solo che lui per farsi bello con la sua ragazza “traduce” (magia della fisica) questi lampi in note musicali di una canzone che lei ama; ed elegantemente questa musica passa da diegetica a extradiegetica (magia del cinema), tant'è vero che continua su un cambio di scena.
La citazione-base arriva quando Dave cerca di stregare le scope per fare pulizia nel laboratorio, esattamente come Topolino in “Fantasia”; e perché il riferimento sia chiaro viene usata la stessa musica ossessiva di Paul Dukas. Ripensandoci poi si capisce che è stato questo il punto di partenza ispiratore del film – per cui è anche interessante dedurre il processo logico, che ci dice molto sul lavoro di sceneggiatura contemporaneo.
A rendere ancor più gradevole “L'apprendista stregone” sta il fatto che è un film iper-newyorkese. La sua idea migliore è di rendere magicamente viva, grazie agli incanti contrapposti dei due maghi, l'architettura di Manhattan. E allora ecco che l'enorme uccello che si protende a mo' di doccione dalla sommità del Grattacielo Chrysler prende vita e si alza in volo nel cielo di New York; parimenti, il gigantesco toro di bronzo di Wall Street si anima di una vita feroce; naturalmente non manca la classica festa a Chinatown, con il drago di stoffa che si trasforma in un bestione in carne e ossa. E quando Horvath deve magicamente mimetizzare la sua auto durante un inseguimento, logicamente la trasforma in uno dei taxi gialli che aspettano a decine il verde per le strade di Manhattan. Il car chasing - in mancanza del quale praticamente un americano non compra il biglietto - diventa molto più attraente se ci aggiungiamo la magia.
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