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L’apprendistato di un pastore (o, parafrasando Castaneda, a scuola dal ladrone!).

Da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

428px-Sardinia_satellitedi Daniela Manca. Siamo raccolte intorno al camino e mia madrina  racconta:

“Un ragazzino andò a fare il servo pastore per conto di  un proprietario del quale si bisbigliava in paese che non fosse esattamente pane  da far ostie.

Dopo qualche tempo avanzo` al padrone una singolare  proposta: “Sentite, avrei da farvi una  richiesta…”.

“Se e` qualcosa che mi compete…” rispose l`uomo senza  sbilanciarsi.

“Insegnatemi a  rubare”.

Dopo aver meditato a lungo, con tono pacato rispose: “Tu  devi pensare al tuo dovere e toglierti dalla testa simili corbellerie, dai retta  a quello che ti dico.”

Il giovane non osò replicare ma in cuor suo non era persuaso. Dopo qualche tempo avanzò una nuova richiesta. Era una notte serena e  luminosa, nonostante si fosse in autunno l’aria era calma e mite. “Insegnatemi a  rubare, guardate che bella notte, io farò tutto quello che comanderete, insegnatemi!”.

L’anziano pastore replico con tono severo: “Preoccupati  di imparare a fare il pastore che ancora te ne manca! Ti ho già’ detto di  toglierti certe idee dalla testa!”.

Il pastorello si ritirò in buon ordine ma continuava a  pensare a quanto gli sarebbe piaciuto imparare a rubare. Soprattutto nelle notti  di plenilunio, quando la campagna rischiarata dal lucore lunare sembrava  attirarlo; diceva a se stesso: ‘guarda che bella notte per rubare! Che peccato,  che occasione persa!’.

Passò ancora del tempo e l’inverno giunse con tutta la  sua potenza. Una notte si scatenò un tremendo temporale, il pastorello se ne  stava rannicchiato nel suo giaciglio, accanto al fuoco, tentando ti coprirsi  come poteva con la misera coperta insufficiente a far fronte alle folate che,  investendo la capanna, insinuavano all’interno una corrente diaria gelida. I  fulmini si succedevano a brevi intervalli e al fragore dei tuoni la capanna dal  cono di frasche sembrava scuotersi tutta. Per tutta la sera il giovane aveva  sperato che il padrone si facesse vivo per avere il conforto della sua presenza  ma infine, all’imbrunire, si era rassegnato; non era probabile che l’uomo si  mettesse in cammino con un tempo simile.

La pioggia e il vento non accennavano a placarsi ma lui  continuava a tendere l’orecchio verso l’esterno, non riuscendo a prendere  sonno.

A un tratto gli sembrò di percepire un rumore diverso dal  frastuono del temporale, rimase in ascolto col fiato sospeso, senza osare  muovere un muscolo. L’anziano pastore comparve sulla porticina tutto intabarrato  e guardò all’interno della capanna, rischiarata dalle braci. Poi si rivolse al  servetto: “Ajò! Oggi ti insegno a rubare; questa è la notte  buona”.

Il racconto era finito ma io non potendo resistere alla  tentazione ho chiesto a mia madrina: “… e ha poi imparato a rubare quel  ragazzino?”.

“Certo che ha imparato!”.

Mia madre, seduta accanto, non era intervenuta ma avendo  indovinato chi fossero i protagonisti del racconto concluse: “Ha imparato  talmente bene che alla fine ha rubato le pecore al padrone!” E rivolta a mia  madrina: “dico bene?”.

E lei: “ Già‘, proprio così” confermò.

Featured image la Sardegna vista dal satellite.

 


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