una nube. Lo son le cattedrali
di vasta pietra e bibliche vetrate
che il tempo spianerà. Lo è l'Odissea,
che cambia come il mare. Se la riapri
sempre cambia qualcosa. Anche il riflesso
del tuo viso è già un altro nello specchio
ed il giorno è un dubbioso labirinto.
Siamo chi se ne va. La numerosa
nuvola che si disfa all'occidente
è nostra effigie. Incessantemente
la rosa si tramuta in altra rosa.
Sei nuvola, sei mare, sei l'oblio.
Sei anche tutto quello che hai smarrito.
Jorge Luis Borges, Nubi
La Valle Strona, luogo isolato e solitario come una nebulosa, faticoso da vivere, dove gli ultimi alpigiani rimasti al cospetto delle nevi perenni, aldilà dell'Altemberg e del Capezzone, nei solchi della loro pelle nodosa ricordano i tronchi che affiorano sulle punte più estreme dei dirupi e dove canti solenni e popolari si tramandano da secoli nelle notti stellate della tarda estate.Inoltrandosi lungo la strada che conduce a Campello Monti, inebriati dai profumi di erbe falciate, incontriamo l'abitato di Sambughetto dove ha sede un luogo molto particolare, noto in dialetto come “balma dal faij” ovvero il masso delle streghe, area inevitabilmente farcita di leggende sin dalla notte dei tempi.Ci accolgono alti gradini ricavati nella nuda roccia, strette e ripide viuzze e case addossate l'una all'altra, alcune dai tetti in piode altre dalle tegole rosse, ma di un rosso slavato che rammenta giorni di sole rovente e odor di tempesta. L'occhio attento sa cogliere la genuina bellezza di questa minuscola frazione del comune di Valstrona che la gente di pianura non conosce, dove la vita si svolge in salita,dove tutto è verticale e anche le galline son dotate di “pannolino” affinché il loro “prodotto” non rotoli irrimediabilmente a valle.“Sass muje” è un dedalo di grotte che si narra conducano nelle viscere della terra e siano custodi di segreti e tesori di inestimabile valore.Leggenda e realtà si intrecciano complicando maggiormente le cose. Voci danno per certa la presenza di falsari intenti a coniare filippi spagnoli (monete d'argento) nascosti laggiù, nel ventre della terra, prima di essere condannati a morte .Non mancano i legami con i ministri di Dio allorché, attorno alla fine del 1700 e i primi del secolo successivo, tale Don Alessandro Piana (parroco di Fornero) amava infilarsi al fresco di quelle grotte, ed anche un suo temerario“collega” di cui si son perse le tracce dopo ripetute discese nelle ferite della montagna, raccontò di aver rivisto la luce mediante una seconda misteriosa uscita, molto più a valle, vicino al torrente omonimo.Ritornando al sacerdote di Fornero, il quale amava romanzare in piccoli poemetti (La parrocchia in contrasto. Poema eroicomico classico romantico, 1984), assicura che nel cuore gelido della montagna il tesoro c'è davvero, e corrisponde ad una cassa piena di monete d'oro (mi auguro non quelle dei presunti falsari...).Era il figlio di Asmodeo e della strega Ghittina il custodite dell'arcano scrigno, celato nelle sembianze di un rospo di spaventose dimensioni armato di forcone e attorniato da fate, spettri, gufi e civette fautrici di mirabolanti incantesimi. Da tempo il bàtrace era in attesa di un incauta mano umana pronta a depredare il ghiotto bottino...Ma come in (quasi) tutte le favole il bene vince sul male, e l'arma vincente è delle più semplici. Un Agnus Dei nella forma di un cuscino, ricamato con filo d'argento e nastri colorati in cui al suo interno sono contenuti rami d'ulivo, una candela benedetta ed una medaglietta sacra.Dacché detesto gli “happy end” in ogni sua forma e sostanza è degna di menzione la leggenda di Otto Schmidt, geologo originario di Bamberga in Baviera.Rimasto folgorato dalla selvaggia bellezza della Valle Strona si stabilì per qualche tempo a Forno, dove quotidianamente, di buon ora, si metteva in cammino per i sentieri e i glauchi valloni alla ricerca degli angoli più angusti e remoti facendo ritorno in albergo solamente sul far del crepuscolo.Una sera dopo aver consumato il suo piatto di paniscia e un buon bicchiere di quella Barbera che amava tanto, prima di coricarsi, restò a scambiare quattro chiacchiere con la tignosa locandiera che con una ruga d'indifferenza lo informò dell'esistenza delle grotte.Sul viso di Otto, con il suo berretto schiacciato sulle ventitré, schioccò un sagittabondo sorriso a trentadue denti e solo la presenza delle tenebre lo costrinse a procrastinare l'esplorazione.Dormì come una marmotta, ma allo spuntare dei primi raggi di quel timido sole montano somigliante ad una fetta di melone ben maturo il Sig. Schmidt si trovava già “all'ingresso” del tortuoso cunicolo armato della sua fedele lanterna. Inghiottito dal buio dovette ben presto dimenticarsi di avanzare in posizione eretta; il tunnel si abbassava sempre più e per procedere non vi era altro modo che mettersi carponi.Un àlgido e tetro vento tormentava insistentemente la sua esplorazione, quando raggiunse un ampia apertura, quasi un salone, ornato di stalattiti e stalagmiti. Altri cunicoli si diramavano ai lati, illuminati dalla fievole luce della lanterna, in una labirintica planimetria, .Imboccato un secondo condotto sbucò in un'altra sala, ancor più vasta, nella quale scorse resti di graffiti e incisioni a testimonianza di precedenti esplorazioni.Restò in silenzio per alcuni istanti, estasiato da cotanta beltà. La quiete era spezzata unicamente da minuscole lagrime d'acqua stillanti dal ventre nero della terra, mentre la fiammella rischiarava un lembo di rossastra roccia ferruginosa.Otto scrutò l'orologio e con stupore si accorse che erano trascorse quasi sei ore dall'ingresso, il sole equinoziale fuori declinava verso occidente e certamente si apprestava a dileguarsi dietro le alte creste dei monti, gettando le prime penombre annunciatrici della vastità della sera.Ripercorse a ritroso il tragitto, quando dentro di lui si fece strada il desiderio di portare con se un ricordo di questa incredibile esperienza, un segno tangibile del suo passaggio, un souvenir come siamo abituati a chiamarlo oggigiorno.Fu così che pochi istanti prima che la luce del sole tornasse ad offendere gli occhi depose la lanterna e con un rapido gesto staccò un frammento di stalattite che pendeva una manciata di centimetri sopra.Come le mura di Gerico altre stalattiti presero a cadere in una pioggia di stelle perché “il terremoto ha dita piccole” ed ilpover'uomo, forte della sua esperienza, intuì il peso di una tragedia imminente; quel suo gesto apparentemente innocente aveva intaccato il fragile equilibro presente all'interno delle grotte compromettendo irrimediabilmente la loro millenaria stabilità.Un sordo boato si propagò all'interno della montagna e nello sconquasso generale Otto cadde a terra travolto dall'intima desolazione di doversene andare all'altro mondo. Il lume e l'entusiasmo evaporarono come ghiaccio al fuoco tradotti sul volto in una smorfia d'angosciosa amarezza, in un tremito di gote, in cui violenti scrosci di pietre e polvere inghiottirono un soliloquio composto di mozziconi di parole per sempre incastrate in fondo al torace.Il suo disgraziato corpo giace frantumato in un mucchio di ciottoli, laggiù in quel mondo senza colori “dove anche l'alba diventa sera”, e gettando lo sguardo verso le grotte carsiche di Sambughetto un brivido afoso scorre ancora sulle pelle ...
Filippo Spadoni
Bibliografia:- Bazzetta Nino da Vemenia - Il borgo di Omegna e suo contado. Memorie storiche, documenti, statuti, istituzioni, famiglie, uomini illustri, Omegna, La Cartografia, 1914- De André Fabrizio– Inverno, 1968 cit.- Carnevali Emanuel – Castelli sulla Terra (Il Primo Dio), Milano, Adelphi, 1978 cit.- Cerutti Lino – I böcc dal faij, Novara estratto bollettino storico, 1984- Piana Alessandro- La parrocchia in contrasto. Poema eroicomico classico romantico, 1984- Solaro Giovanni– Fantasie Cusiane, Oleggio (NO), Eos Editrice, 1995