di Rina Brundu. “Io sono un pesciolino piccolo, dottor Giletti, sono un pesciolino piccolo: lo sa quanti appettiti stuzzicano tutti questi soldi? Lei non sa nulla del Sud. Io sono stato minacciato, io ho famiglia e mi espongo per 800 euro al mese, non è come dicono quei 5000 grillini!”. Così, con un populistico controstatement, con una populistica controaccusa, accortamente orchestrata e pensata, si è difeso – in un italiano maccheronico e pesantemente infarcito di cadenza autoctona – uno dei consiglieri comunali siracusani “accusati”, durante l’odierna puntata de L’Arena (Rai1) di Massimo Giletti, di avere speso 656000 Euro in un anno per oltre 1100 riunioni del consiglio comunale; ovvero di essere riusciti a collezionare una media di più di 3 riunioni al giorno, ogni giorno dell’anno, Natale e Ferragosto compresi, con alcuni di questi stessi incontri-al-vertice che sarebbero durati solo un minuto.
Subito Massimo Giletti è arretrato, forse intimorito, forse per non infierire oltre, forse colto alla sprovvista da quella specie di “disperata” autodifesa di ciò che quel consigliere considerava un suo lavoro “ben-fatto”, un dovere istituzionale assolto. L’istante successivo la parola è passata ad altro collega del primo appassionato oratore, il quale collega non ha voluto essere da meno e ha pensato bene di calcare la mano contro i grillini. È quindi partito in quarta con una pubblica “denuncia” – parole sue – specifica contro il deputato regionale Zito del M5S reo di avere un “congiunto” che avrebbe fatto una carriera fulminante localmente…. “Basta così!” lo ha immediatamente bloccato un Massimo Giletti evidentemente preoccupato ed è stato a causa di questa “censura” che neppure a noi, telespettatori accorti, è dato di sapere quanta “verità” ci sia dietro la notizia (o pseudotale?) di questa nuova, possibile, parentopoli Made-in-M5S. Una mini-parentopoli sicula che, bisogna dirlo, qualora fosse confermata, sarebbe senz’altro uno scoop da prima pagina!
Ma è davvero così importante confermarla di fronte al “marcio”, al laissez-faire, che continua a venire alla luce quando guardiamo anche solo dentro le macro-dinamiche di funzionamento dell’amministrazione pubblica italiana? Senza entrare nel dettaglio delle argomentazioni da fiction-horror tirate fuori durante tutta la trasmissione, dall’”accusa” e dalla “difesa”, allo scopo di difendere le (indifendibili) posizioni, ciò che lascia senza parole è l’ossimorico silenzio-tonante dei veri responsabili della funesta-situazione, di coloro che hanno governato il Paese nelle ultime decadi e che continuano a governarlo alla maniera di Ponzio Pilato: lavandosene le mani! Dato che non c’é fumo senza arrosto, basta fare anche un solo rapido calcolo mentale per immaginare lo sperpero di denaro pubblico che si consuma in Italia ogni giorno; quanto sia conclamata e quanto mai in auge l’idea che le casse dello Stato siano un mero bancomat da assaltare.
Ciò che offende di più l’anima è tuttavia il concetto di “lavoro” che emerge da un’analisi anche epidermica dello status-quo. L’idea che quelle infinite riunioni, chiacchiere improduttive senza fine, siano da considerarsi operatività di cui andare fieri, dovere pubblico assolto, appunto. Peccato che quasi tutte le miniere del Sulcis siano state chiuse, altrimenti sarebbe stato facile provare che il vero lavoro è altra cosa e sovente annichilisce lo spirito e il corpo come nient’altro: di sicuro non lascia molto fiato per le selvagge dissertazioni mediatiche italiche, mentre il suo “vestito” buono della domenica pomeriggio risulterebbe senz’altro meno cool.
Featured image, Sulcis: minatori della “Società Monteponi” a fine Ottocento.