Un tempo, quando ero bambina (ma anche più tardi) l’aria del Natale arrivava tutta d’un tratto, nei giorni tra Sant’Ambrogio e l’Immacolata, allora Milano si accendeva di luci, riflesse nel selciato umido di pioggia e di nebbia, mentre il buio scivolava presto sulla città e avvolgeva le strade affollate di gente frettolosa e freddolosa.
Le vetrine si vestivano di colori brillanti, soprattutto il rosso, e splendevano di luci e lustrini, di rami d’abete coperti di neve ingenuamente posticcia.
Nelle domeniche tra Sant’Ambrogio e la Vigilia i negozi restavano aperti per consentire gli acquisti (che allora non si chiamavano shopping) ed anche quello contribuiva a creare l’atmosfera del Natale, quel clima un po’ particolare di festoso vagabondare per le vie del centro interrotto solo da una sosta dolcissima alle “Tre Gazzelle“: una cioccolata con la panna (mia nonna la chiamava “melange“) che aveva il profumo dell’inverno.
E poi c’era la “Fera di oh bej! oh bej!” che allora consisteva in poche bancarelle colorate e luminose addossate alla grande Basilica: si trattava di un appuntamento irrinunciabile per l’acquisto delle figurine di gesso che andavano ad arricchire il nostro presepe e delle decorazioni in fragilissimo vetro soffiato per l’albero che avremmo cominciato a decorare il giorno seguente.
Per me l’aria del Natale ha ancora il profumo di cioccolato, di zucchero filato, di croccante alle mandorle e di torrone.
Oggi che i negozi sono sempre aperti e le luminarie compaiono già a metà novembre ho l’impressione che l’atmosfera natalizia si sia un po’ sfilacciata, stiracchiata tra i saldi estivi e i saldi invernali, come se Natale fosse quasi tutto l’anno.
Troppo Natale forse rischia di cancellarne la magica unicità.