Sull’efferata uccisione di 28 non musulmani in Kenya da parte dei miliziani islamisti di al-Shabaab è stato pubblicato sul Corriere della Sera uno spassoso articolo a firma di Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di S. Egidio. Ne parlo perché rappresenta un esempio perfetto dello stile del nostro campione, e perché il nostro campione è un esempio perfetto di un certo cattolicesimo che ciurla nel manico con impeccabile urbanità: il tono è ispirato, solenne e ammonitore; ma serve a dar corpo all’aria fritta. Che ha da dirci il fondatore? Qualche proposta operativa? Oppure una parola decisiva sui nodi religiosi della questione? Nulla. Tutto affonda in una vaghezza attentissima a non turbare qualsivoglia suscettibilità, benché sussiegosamente espressa. Ma intanto lo sciocco resta come ipnotizzato davanti a tanta gravità, mentre al saggio non resta che controllare il proprio dispetto, cioè la voglia impellente di scoreggiare o spernacchiare.
La maggiore preoccupazione ostentata da Riccardi è di evitare che si faccia di ogni erba un fascio, che si mettano tutti i musulmani nello stesso calderone. Questo nobile sentimento è però alquanto sospetto perché va al di là di ogni ragionevolezza. Tale è infatti la delicatezza d’animo dell’operatore di pace più indaffarato d’Italia e forse del mondo, da spingerlo a farsi forte dell’autorità del Corano nel condannare il misfatto: «Questa vicenda», scrive Riccardi, «offenderà nel profondo – credo – i veri fedeli musulmani. Gli assassini hanno dimenticato la parola ammonitrice del Corano per cui “chi uccide un uomo è come se uccidesse il mondo intero”». Notate che in questo caso Riccardi si comporta esattamente come certi crociati da lui – potete esserne certi – profondamente detestati: ci sbatte in faccia la frasetta del Corano che fa al caso suo, come se essa ne riassumesse lo spirito. I crociati, com’è loro consuetudine, e con qualche argomento in più, potrebbero sventolargli sotto il naso un robustissimo elenco di frasette truculente di una concretezza singolarmente esplicita di segno opposto.
Io, che ho espresso idee chiarissime e negative sulla fede di Maometto, non sono mai ricorso a questo metodo. La natura del linguaggio è convenzionale. Nessun linguaggio è di per se stesso talmente eloquente da non poter essere travisato. Il problema è, però, che tutti i tesori di spiritualità che Riccardi – anche di ciò potete essere certi – vorrà riconoscere al Corano, sono stati presi letteralmente di peso dal Vecchio e Nuovo Testamento, e confusamente sistemati tra la precettistica dell’Islam. Non vi è affatto un’unità spirituale nel Corano. Il problema fondamentale del Libro Sacro dei musulmani non è tanto la sua interpretazione letterale, perché anche quella risulterebbe contraddittoria, ma il fatto che non si presta ad alcuna interpretazione unitaria e superiore. Di fatto l’Islam è una religione che vive di precetti, strumenti di un disegno terreno. Senza di quelli evapora.
Il problema fondamentale di Riccardi è invece la sua passione per i salamelecchi, tanto per rimanere in campo islamico, cioè quella caricatura del dialogo religioso che oggi va per la maggiore e il cui presupposto sembra essere che tutte le verità di cui le religioni si fanno portatrici assurdamente si equivalgano, e che in fondo tutti conflitti di stampo religioso siano un gigantesco equivoco. E’ ben vero che persone di buona volontà e in buona fede albergano in ogni campo, ed è anche probabilissimo (io ne sono certo) che la cialtroneria sia diffusa in maniera simile tra cristiani e musulmani: lo dicono la ragione e la carità, per dirla cristianamente. Ed è proprio questo che dovrebbe far pensare il cattolicissimo Riccardi.
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