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L’Arrostino di Fiorella Gianluisa Donati – n. 7

Creato il 24 dicembre 2010 da Viadellebelledonne

 L’Arrostino di Fiorella Gianluisa Donati – n. 7

L’ARROSTINO
Appena sposata, cambiai totalmente gli usi e costumi della mia famiglia primaria, specialmente quelli che riguardavano le Festività. Mio marito di usanze nella sua famiglia non ne aveva mai avute e fu quindi ben contento di affidarsi alla mia fantasia.
Mia madre, per esempio, faceva sempre l’albero di Natale e io decisi quindi di fare il Presepio.
Il Natale con loro si festeggiava il 25 dicembre (pranzo e cena) e io e mio marito lo festeggiammo la Vigilia (solo la sera) e il giorno dopo ed il seguente furono giorni come tutti gli altri. Parenti non ne frequentavamo e
ce ne stavamo beati fra di noi, spesso con la musica ‘a manetta’ che faceva tremare i muri e i nostri vicini di casa.
Il Presepio volli farlo con le mie mani limitando la cosa ai tre personaggi principali: Gesù, la Madonna e San Giuseppe. Comprai un panetto di stucco bianco -che una volta si usava per bloccare i vetri delle finestre- e lo modellai come fosse creta. Riuscirono bene: d’altra parte a Brera avevo pur imparato qualcosa oltre a divertirmi con i miei compagni/e. Poi si trattò di vestirli adeguatamente.
Avevo una scatola in metallo in cui conservavo vari ritagli di tessuti, velluti, raso, pizzi, elastici, funicelle, bottoni, piume (mio padre mi aveva soprannominato non per niente “il criceto”) e mi divertii a creare dei
costumi dove primeggiavano drappeggi e manti in colori cupi: viola, amaranto, verde oliva, marrone, blu scurissimo. Gesù, chiaramente, da buon neonato aveva solo un piccolo ‘patello’ in tessuto color ecrù -l’unica nota chiara nel gruppo. Mi dedicai quindi al colore della pelle del ‘sacro trio’ e usai uno smalto per le unghie sul beige chiaro per rendere al meglio l’effetto di gente che, dopotutto, era palestinese: mai piaciuti i Gesù e le Madonne biondi, occhi azzurri e compagnia bella. Francamente, mi parve di aver fatto un buon lavoro (le statuine seppur accovacciate erano alte una dozzina di centimetri), ma il colore della pelle non mi persuadeva
completamente: li volevo abbronzare un po’ di più.
Fu allora che mi venne in mente di comportarmi con lo stucco come se fosse creta. Tolsi gli abiti ai tre personaggi e li infilai in forno per “biscottarli” un po’. Bastò un quarto d’ora a 200 gradi prima che la cucina
si riempisse di un fumo puzzolente. Estrassi le statuine e le misi a raffreddare sul davanzale di una finestra. Salvo l’odore, che se ne andò solo dopo un paio di giorni, l’effetto ‘pelle palestinese’ era perfetto;
abbronzati-olivastri e patinati al punto giusto. Quando li rivestii e li deposi sul piano di un’angoliera in noce scuro, situata in tinello, devo dire che facevano proprio un ‘figurone’! Mio marito, che aveva seguito nel
corso dei giorni la cosa, sempre più perplesso ma fiducioso, dato che mi amava molto, disse: ” si, è bello, però è strano…”.
Mi ritenni soddisfatta del suo giudizio e, avendo visto nella vetrina del fornaio un annuncio della mia parrocchia che segnalava un concorso per il miglior Presepe della città di Milano (indetto dall’Arcivescovado), mi iscrissi, lasciando i miei dati . A quei tempi ero un po’ ‘suonata’ ma anche molto felice. Lo raccontai a mio marito che si mise a ridere e mi disse: “ma sei proprio matta, vuoi concorrere con il tuo “arrostino”? Così era stato soprannominato il mio Presepio e così venne chiamato da allora in poi anche dai miei due figli: “quest’anno fai ancora l’”arrostino” per Natale?”.
Beh, una sera, dieci giorni prima della nota Festività, stavo lavando i piatti in cucina, avvolta in un enorme grembiule a quadrettoni bianchi e rossi, quando suonò il campanello e  mio marito andò ad aprire la porta.
Si trovò di fronte il nostro parrocco, un alto prelato in tenuta adeguata e il suo segretario. Io ero senz’altro molto più stupita di mio marito che, a voce bassa in un orecchio, mentre mi toglievo i guanti di gomma, mi disse ridacchiando: “sono venuti a vedere il tuo ‘arrostino”. Tutti mi sorridevano e il più “barocco” di tutti – per via dei paramenti e che seppi poi essere l’arcivescovo Giovanni Colombo – mi fece infinite domande su come avevo realizzato questo Presepe. Mi lasciai prendere dall’entusiasmo e raccontai tutto, compreso la cottura del ‘sacro trio’ nel forno. Si mise a ridere come un matto, il parroco sorrideva soltanto ma il segretario, che pigliava appunti su di un blocchetto nero, era allibito, aveva una faccia giallo -itterico e due assurdi pomelli rossi sulle guance che si erano manifestati quando avevo detto di averli messi in forno a 200 gradi.
Non ci crederete, o forse si, presi il terzo premio “per l’originalità”; una targa dorata che mi fu consegnata dall’arcivescovo in persona il giorno dell’Epifania. Mi riconobbe e sogghignò strizzandomi l’occhio.

P.S.
Ora il mio Presepio detto l’ “arrostino” ce l’hanno i miei figli che se lo alternano di anno in anno e così me ne sono fatta un altro minimalista, che potete vedere nella foto che accludo. Tempo fa avevo costruito un nido
realizzato con la corteccia d’albero a forma di casetta ma dopo alcuni tentativi, nessun uccelletto vi nidificò mai per timore della mia gatta Bess -sempre molto attenta ai volatili che frequentano la terrazza- e così me lo sono portato in casa e sulla soglia ho posto  le tre figurine in creta realizzate in Messico e, a lato, due pecorelle dell’artigianato sardo, sul tetto due angioletti di gesso.



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