L’importanza del comunicare, come azione che fa da veicolo a messaggi e da intermediazione tra persone, l’importanza di esprimere quei messaggi con carisma e captatio benevolentiae, un’azione persuasiva e accattivante, è cosa nota sin dalla antichità. Così facevano gli oratori, che della loro capacità di comunicare agli altri, fecero un’arte, che sulla comunicazione (puramente orale, una sorta di one man show di altri tempi) hanno basato le loro campagne politiche. Così hanno sempre fatto i nostri (e quelli degli altri) politici. Mai come in politica tutto sembra ruotare sull’invio di un messaggio che deve essre capito, ma soprattutto deve essere convincente (per l’elettore) e vincente (per il politico). La persuasione della retorica come metalinguaggio.
La nascita dell’Oratoria politica così come la conosciamo oggi è da fare risalire ai tempi della Rivoluzione Francese di Robespierre e si è sempre fatta più elaborata e vincente, appunto. Ricordiamo i “discorsi al caminetto” di Roosvelt, in questo senso. E se prima c’erano i pulpiti sui quali salire per diffondere i proprio messaggi, poi si è passati a immettere questi messaggi politici in qualsiasi canale fosse a disposizione, come fu la radio per Roosvelt. E poi sono diventate la televisione, e infine tutti i mass media. I politici ne hanno capito la forza, l’impatto audio-visivo che offrono e soprattutto ne hanno captato l’onnipresenza, che permette loro di essere sempre lì, quando necessario.
Anche in questo, gli Stati Uniti sono i primi, i più invasivi e sulla forza dei mezzi di comunicazione di massa, basano quasi tutta la loro campagna politica. I mass media creano quella che è stata definita una agenda-setting, stabilendo e prioritizzando i pensieri dell’utente. I politici sono tra i primi a sfruttare questa agenda, discutendo di qualsivoglia tema e influenzando il cittadino sulla importanza di questa.
Ricordiamo il famoso dibattito tra Nixon e Kennedy nel 1960, che passò in televisione e fu uno degli eventi più seguiti all’epoca, e che dà una idea di come la televisione veicoli i messaggi ma non solo. Kennedy mostrò un atteggiamento rilassato e deciso, anche se a livello oratorio non si differenziò molto da Nixon, eppure ebbe la meglio, e fu considerato il vincitore di quell’importantte round. Il dibattito diede a Kennedy parecchio vantaggio sul rivale nell’essere eletto: la presenza dei due nel tubo catodico ha aiutato gli elettori a convincersi su uno piuttosto che sull’altro. Questo momento pilitico è ritenuto da molti come il decisivo della svolta che vede la TV diventare un mezzo di comunicazione impiegato nella diffusione dei messaggi politici.
I dibattiti politici e le campagne politiche oggi vanno però oltre la televisione: oggi c’è di più, molto di più. Ci sono i social network. C’è Facebook. C’è Twitter.
I politici si affacciano su queste piattaforme sociali come individui che impersonano il loro programma politico, attraverso la loro individualità (che li rende accessibili e vicini agli occhi dei loro elettri) si propongono sui social network e diffondono i loro messaggi politici. La accessibilità a cui accennato è quella stessa che nella rete è diventato il punto di forza della politica. Il personaggio politico di rappresentanza non è più impettito ed impostato su un pulpito, nè inscatolato in una televisione che non ci permette di interagire con lui, ma è lì tra i nostri contatti Facebook o Twitter. Vediamo il suo profilo e instauriamo quella interazione che lo rende più simile a noi, più uomo e meno personaggio. La diffusione stessa del messaggio politico, diventa più veloce, nella rete. Si diffonde rapida e nei canali che il web propone si dirama in varie direzioni, favorendo il politico e il suo partito.
Anche se una ricerca recente ha dimostrato che in Italia c’è una certa diffidenza per quanto riguarda l’uso dei blog. Il motivo principale di questo è sato individuato nella paura di essere criticati troppo apertamente e personalmente.
Alcuni blog esistenti di politici nostrani hanno infatti un carattere di comunicazione unilaterale, dove non è possibile lasciare messaggi e commenti. Ma questo non è quello che Internet dovrebbe fare, ed infatti questa non è stata riconosciuta dagli esperti come una strategia vincente.
Una ricerca di Stefano Epifani, professore di Scienze della Comunicazione, ha riportato che c’è ancora, in Italia, una grande percentuale di politici che trascure i social network: il 46% non aggiorna il proprio profilo Facebook dal 2009. E i commenti vengono ignorati. La ricerca ha dimostrato che c’è una scarsa interazione con gli elettori, ancora e su un livello abbastanza generico.
Con il tempo, e con le prossime elezioni americane, avremo modo di ossevare in maniera più approfondita il ruolo dei mass media e del web nelle campagne politiche, e come si evolve il nuovo corso dell’ antica ars oratoria.
Roberta Martucci Schiavi web writer freelance per twago, piattaforma per esperti online.