Magazine Cultura

L’arte del narrare e il bisogno di una vocazione editoriale

Creato il 09 dicembre 2011 da Autodafe

 di Cristiano Abbadessa

Mi gira in mente un giudizio che, ormai un po’ di anni fa, veniva usato per sintetizzare lo spessore degli interventi politci dell’attuale presidente della Camera, Gianfranco Fini: non dice nulla, ma lo dice bene. Tale definizione riassumeva una buona capacità logica e una discreta oratoria, che però facevano aggio sulla mancanza di contenuti, o sulla mancanza di chiarezza degli stessi. Si era in effetti in una delicata fase di transizione del leader (all’epoca) della destra più estrema, che si riposizionava in alleanze non sempre facili da far digerire alla base e che, d’altra parte, cercava di acquisire una patente di rispettabilità democratica che ancora molti gli negavano. Non interessa, qui, seguire i percorsi di Fini o valutare l’efficacia di quella sua comunicazione impeccabilmente dilatoria. Interessa invece ricordare che quel giudizio, pur suonando esplicitamente caustico, non nascondeva del tutto una certa ammirazione per l’abilità, ritenuta “tutta politica”, di incantare a parole per mascherare l’assenza di sostanza. E, infatti, anche tra coloro che professavano idee radicalmente diverse e provenivano da una storia di netto contrasto con la destra, Fini veniva generalmente considerato “un abile politico”.
Se l’assenza di contenuti non impediva di esprimere ammirazione in politica (terreno che, per sua natura, dovrebbe essere in realtà quello dell’azione e delle scelte), figuriamoci quanto la pura e sola estetica può essere ritenuta importante in campo letterario, laddove non appare un necessario rapporto tra pensiero e azione. E, quindi, si continua a lodare la ricercatezza stilistica anche quando è fine a se stessa e a sottolineare, da parte della critica più che del pubblico, i meriti artistici di uno scrittore più che la densa sostanza del suo narrare.
È un tema che ho gia più volte trattato, e suscitando reazioni non concordi. D’altra parte, si tratta di una questione assolutamente centrale per Autodafé, visto che lo spessore dei contenuti e la capacità di narrare prestando attenzione a determinati aspetti sono alla base della nascita stessa della casa editrice e della sua ragion d’essere. Eppure, questa precisa vocazione del “narrativo presente” stenta a essere riconosciuta come elemento fondante di questa casa editrice e come denominatore comune che deve ritrovarsi, nelle differenze di generi e di stili, in tutti i nostri autori.

L’arte del narrare e il bisogno di una vocazione editoriale

Insomma, nella contesa del primato fra cosa dire e come dirlo ci si imbatte spesso e volentieri. Per esempio, sono stato ieri a Roma, all’affolatissima e appassionata presentazione del romanzo Ali e corazza del nostro Daniele Trovato: e anche qui ho visto intrecciarsi e inseguirsi, ma forse troppo poco amalgamarsi (e, per fortuna, non contrapporsi), i riconoscimenti alla qualità letteraria dello scritto e alla creazione di una protagonista di grande spessore con la sensibilità per la precisa rappresentazione di luoghi e persone che tratteggiano inequivocabilmente la realtà sociale italiana. O, ancora, ritrovo la redazione impegnata nell’eterna diatriba con l’aspirante autore respinto di turno, il quale asserisce infine che non esistono altro che romanzi buoni e romanzi cattivi, e che la pretesa di definire un ambito tematico è estranea alla letteratura.
Verrebbe da invitare a seguire il dibattito che, di questi tempi, affiora di tanto in tanto sulla stampa, rievocando l’epoca delle case editrici a forte vocazione identitaria e confrontandole con quelle odierne e le loro politiche onnivore e gelatinose. Spesso, è vero, si tratta di riletture nostalgiche e di elogi dei “bei tempi andati”, ma non si può negare che se le grandi case editrici hanno assunto dimensioni tali da essere quasi costrette a una dimensione poliedrica, le piccole e medie dovrebbero forse valutare con più attenzione se ha senso stremarsi in una concorrenza indifferenziata o se sarebbe preferibile provare a caratterizzarsi secondo inclinazioni e convinzioni.
Certo, il nostro nuovo assetto organizzativo, e l’importanza che rivestiranno i servizi editoriali, consentono ad Autodafé di dissipare qualche equivoco e di restituire chiarezza alla nostra vocazione originaria. La scheda di valutazione della proposta editoriale (a pagamento), ben più ampia della sintetica e cortese risposta che abbiamo finora inviato a tutti, permette di chiarire il valore oggetivo di una proposta, coi suoi pregi e i suoi difetti, separando questa valutazione da quella successiva e più soggettiva riferita alla compatibilità dell’opera in questione col progetto editoriale di Autodafé. La casa editrice potrà continuare a scommettere, investendo, su quelle opere narrative di respiro sociale che costituiscono l’elemento fondativo della nostra esistenza. I bravi autori potranno continuare a lavorare con la nostra redazione e usufruire dei nostri servizi, se questa è la loro scelta e se noi sapremo meritarci la fiducia, ma saranno chiamati a investire anch’essi e a scommettere sul proprio valore. Ci pare che tutto questo non possa che essere un ulteriore elemento di chiarezza circa la natura, il ruolo e la funzione di un piccolo editore.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :