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L’arte della gioia

Creato il 27 aprile 2012 da Povna @povna

Per questo Venerdì del libro la ‘povna recupera una lettura di qualche tempo fa, che le era piaciuta molto, e considera in ogni caso significativa. Una lettura di cambiamento, un po’ come il periodo che sta vivendo. Non sia mai che le porti fortuna, mentre aprile si scolora in maggio, e lei si appresta a lasciare la sua casa, con uno sguardo sul futuro.

L’arte della gioia ripercorre i sentieri del romanzo storico italiano a partire dall’uovo. Così l’inizio (in un fuor d’opera verghiano) potrebbe essere considerato uno spin-off manzoniano (e a lieto fine) sub specie Gertrudae. Poi si continua, e ci sono tutti. Nievo (nella struttura del paratesto a titoletti, ma anche, e soprattutto, alla fine della prima parte, nella citazione esplicita di “Carlino scopre il mare”), il Verga della Duchessa di Leyra, I Viceré di De Roberto, I vecchi e i giovani, e su su a salire fino al romanzo neo-storico del secondo dopoguerra, al Gattopardo e alla Storia. Se si guarda da questa prospettiva, non stupisce il rifiuto di Feltrinelli (uno che, appunto, tra Lampedusa e Pasternak, di romanzi neo-storici moderni ne aveva lanciati la sua parte, sul mercato italiano), motivato appunto dai canoni troppo poco innovativi, e ottocenteschi, della struttura narrativa. Del resto, la scrittura, di qualità comunque alta, è accompagnata dall’uso di una serie di artifici abili ma, indubbiamente, del mestiere: dalla voce femminile della suora/guerriera (che fa il verso, chissà con quanta consapevolezza, al Cavaliere inesistente) fino alla (solo) apparente alternanza – nel rispetto di una focalizzazione rigorosamente interna – di auto e eterodiegesi narrativa. Se dal punto di vista narrativo ci si sposta sul tematico, il coraggio anticonvenzionale di Modesta, in anticipo sui tempi, si rivela il tentativo, tutto sommato ben condotto, di sottoporre a allegoria gli anni in cui il romanzo è stato concepito e scritto, i favolosi Sessanta-Settanta, che maturano un’idea nuova (anche in Italia) di emancipazione della condizione della donna e libertà di scelta individuale. E’ così che la plausibilità storica della trama del romanzo inizia a scricchiolare, tanto che Tommaso Pincio ha potuto parlare, in questo senso, di una sorta di paradossale controstoria che occhieggia all’ucronia.
Eppure, nonostante ci siano mille e un motivo per continuare nell’elenco, e fare non una ma molte osservazioni e pulci al romanzo e al suo autore, il libro regge. E si lascia leggere con interesse autentico e problematica riflessione. Un romanzo, dunque, fatto di “nonostante”; e, proprio per questo, a suo modo, profondamente necessario.


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